mercoledì 2 maggio 2012

Depressi: maggior rischio di cardiopatie

Saremo la nazione dove si vive più a lungo nel mondo, dopo il Giappone, ma se guardiamo all’Europa, l’Italia è interessata da un problema medico molto rilevante, la constatazione di come in Italia risieda un numero di anziani affetti da forme di depressione senza pari nel resto del Continente. Dagli ultimi studi rilevati si stima che nel nostro Paese 52 donne di età superiore a 65 anni e 31 uomini nella stessa fascia d’età accusano i segni della malattia.

Lo ha stabilito uno studio italiano longitudinale sull’invecchiamento, condotto qualche anno addietro da Stefania Maggi, ricercatrice dell’Istituto di neuroscienze  del Consiglio Nazionale delle Ricerche (In-Cnr) di Padova, insieme ad un’indagine dell’Ilsa (Italian Longitudinal Study on Aging), che ha preso in esame 5.600 soggetti, tra i 65 e gli 84 anni. Il dato assume rilevanza elevata anche in funzione di un’altra importante acquisizione scientifica che ci mostra bene come sia importante la correlazione esistente fra la depressione ed il rischio di incorrere in malattie cardiovascolari.“E’ stato infatti provato”, spiega Stefania Maggi, “che in soggetti colpiti da infarto al miocardio la concomitante o conseguente presenza di sintomi depressivi aumenta il rischio di progressione della malattia e di mortalità rispetto a chi, con lo stesso quadro clinico, non soffre di depressione. Soffrire di depressione diagnosticata o presentare sintomi depressivi pur essendo sani espone maggiormente a rischio di malattie coronariche”. Il risultato pone in evidenza anche un altro dato significativo che dimostra come la depressione nell’anziano con i suoi sintomi più impegnativi aumenti notevolmente la mortalità del paziente interessato dal problema.


Si tratta a questo punto di capire come sia possibile correlare due malattie tanto diverse come la depressione e l’infarto. Le ipotesi fino adesso fatte dai ricercatori riconducono a fattori eterogenei le cause alla base delle due patologie, si ipotizzano fattori biologici, comportamentali e socio-ambientali quelli coinvolti nell’origine delle malattie. Gli studi clinici e sperimentali sembrano far prevalere l’aspetto biologico: alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che è il rischio biologico maggiore riscontrato nella depressione. Ma vi sarebbe anche l’aggregazione piastrinica, imputata nei danni vascolari e un’alterata regolazione neurovegetativa del ritmo cardiaco ipotizzerebbero, sia in termini eziologici che prognostici, le ragioni della plausibilità biologica del rapporto tra stati depressivi e eventi cardiovascolari, a detta dei ricercatori.

Lo studio dunque si offre come utile strumento di prevenzione per medici di base e specialisti delle varie branche che abbiano in cura soggetti anziani con sintomatologia depressiva con aumentato rischio di declino funzionale fisico, di eventi cardiovascolari e di mortalità che possono essere ad essa associati.

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