martedì 22 gennaio 2013

Sindrome del colon irritabile: non è solo un... mal di pancia!

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Mai affezione più diffusa è stata definita in così tanti modi diversi; colon spastico, colite mucosa, diarrea funzionale o nervosa; eppure, parliamo del colon irritabile, che, la moderna medicina, oggi, preferisce definire come ” sindrome dell’intestino irritabile“. La diffusione nella popolazione è larghissima e tantissimi sono i fattori esterni che influiscono su questa affezione dell’apparato gastroenterico che è causata da una motilità eccessiva e anormale sia del colon e, a volte, dell’intestino tenue; ecco perché si è deciso di chiamarla in altro modo. Una cosa è certa, chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile, può accusare disturbi, periodicamente nel corso dell’anno, isolatamente, o associati a particolari pasti, o particolari periodi di stress, o in concomitanza dell’assunzione di taluni farmaci. 

Ecco perché, il medico, chiamato ad esprimersi su questa patologia, a volte, sembra non prestare la giusta attenzione al disturbo in se e per se, al punto da sembrare distratto di fronte a ciò che gli raccontiamo riguardo a quanto accusato. Non certo per indifferenza, quanto invece, da parte del professionista, nel tentativo di escludere tutta una serie di altre patologie la cui espressione sintomatologica potrebbe coincidere, sovrapponendosi, con i sintomi che dettagliamo e questo, sarà il compito precipuo del paziente; collaborare col medico per giungere ad un inquadramento certo di ciò di cui ci lamentiamo. E, nel farlo, dovremo fornire al nostro medico, un’anamnesi quanto più corretta possibile e soprattutto ricca di particolari che, a prima vista, potrebbero sembrarci banali, ma che invece rivestono un grande significato diagnostico.
 
Sintomi


Sulla base di tutto ciò, il medico, verificato che dai primi sintomi non si sia lamentato negli ultimi periodi un importante calo ponderale, passa alla visita vera e propria che, inizia, con una palpazione, generale, in sede addominale, che nel paziente coincide, spesso, con il dolore laddove si viene palpati con maggiore decisione, soprattutto in determinate aree dell’addome.

Del resto, la distensione addominale, accompagnata da dolore, la presenza di aria nell’intestino, le eruttazioni, il senso di pesantezza allo stomaco, spesso anche a distanza dei pasti, la nausea e, a volte, persino il vomito, così come, l’evidenza di feci con muco, accompagnata, non infrequentemente, da un disturbo lamentato dal paziente che consiste nel dover tornare in bagno dopo una prima evacuazione, senza che nella precedente vi sia stata la diarrea, sono i sintomi più riferiti, nella generalità dei casi di questa affezione. 
E, a proposito della diarrea, questo è un sintomo importante e controverso, nella sindrome dell’intestino irritabile, visto che, spesso, i pazienti lamentano stipsi e diarrea, in momenti diversi della giornata, oppure, stipsi la mattina, appena svegli e diarrea nel corso della mattinata. Ma i sintomi di questa affezione, non è detto che si esauriscano solo in sede intestinale, sovente, si lamentano disturbi che sono al di là dell’intestino; dunque, cefalea, impellente bisogno di urinare in grande quantità, parestesie ad uno o più arti, vertigine e dismenorrea, nelle donne, sono situazioni che possono coincidere con la sindrome dell’intestino irritabile, una affezione, “capricciosa” , che a volte guarisce spontaneamente, persino senza farmaci, o dopo utilizzo di sostanze terapeutiche di scarso significato, per poi riacutizzarsi a distanza di tempo e, imprevedibilmente….

Insomma, da ciò si evince che le tante sfaccettature di questa affezione, rendono, da parte del medico, accurate indagini volte ad escludere patologie di più serio significato, pensiamo al Morbo di Crohn, alla celachia, ad eventuali patologie pancreatiche e, addirittura, persino ai tumori dell’intestino, ciò giustifica, da parte del proprio medico di famiglia o dello specialista chiamato ad esprimersi, il ricorso ad analisi ematiche ed eventualmente, delle feci.


Decorso clinico e approccio terapeutico
 
Accertata l’affezione, la sindrome dell’intestino irritabile ha un decorso cronico e, spesso, imprevedibile, ma, soprattutto, individuale e soggettivo al massimo. Ciò giustifica un approccio terapeutico diverso di fronte ad una sintomatologia tanto variegata e personale per ogni paziente. 


La terapia dietetica, farmacologica, la psicoterapia, fino all’agopuntura, sono tutti approcci che, singolarmente o insieme, possono essere previsti nei protocolli per affrontare l’affezione in ogni sua manifestazione, tutti presidi miranti a normalizzare un intestino che non fa bene il proprio “lavoro” a causa di una sequela di fattori, anche esterni, la cui regolazione, a volte, è sufficiente per guarire dalla sindrome. Così si spiega il ricorso alla psicoterapia, volta a sanare eventuali comportamenti paradossali, nei confronti del mondo esterno che, alla lunga, finiscono per avere effetti, anche e non solo, sul nostro intestino.


Più comune e nella generalità dei casi, è invece, l’approccio farmacologico, quasi sempre, volto, comunque, a curare i sintomi più penosi lamentati; antidiarroici per controllare la diarrea che rischia, alla lunga, di compromettere la vita sociale del paziente e di stressarlo anche da un punto di vista fisico, farmaci in grado di limitare la formazione di aria intestinale, regolatori della motilità dell’intestino, finalizzati a togliere quel senso di pesantezza, nausea e a volte il vomito, lassativi, per combattere la stipsi, antispatici per lenire il dolore addominale, a volte molto persistente e violento, ansiolitici per spegnere l’ansia accumulata, nel tempo, che si riverbera, in un circolo vizioso,nella sequela di sintomi che accompagnano questa affezione. In ogni caso, comunque la si affronti, la sindrome dell’intestino irritabile, non può prescindere, almeno nelle sue prime fasi, dal ruolo centrale che ha la figura del proprio medico di famiglia, fatto più semplice, quando il professionista conosce già il paziente e sa come questi affronta non solo le malattie, ma gli eventi della vita, più difficile quando il medico è all’oscuro di tutto ciò, perché non ci conosce e dovrà farsi un’idea di noi, sulla base di una prima visita che, per questo, sarà quanto mai dettagliata e puntigliosa.

Una cosa è certa, una volta diagnosticata la sindrome dell’intestino irritabile, è bene sapere che ci si dovrà abituare a convivere con l’affezione stessa, aiutato, certamente dai farmaci, soprattutto nei periodi di acuzie, ma sperare di debellare, definitivamente e per sempre, questo disagio è pura utopia e, a seguito di studi condotti, 3 pazienti su 10, imparano, immediatamente, che questa è la loro realtà futura e, spesso, basta l’allontanamento di quei fattori di stress intervenuti nel corso della vita, per risolvere al meglio i sintomi più fastidiosi. Solo una sparuta minoranza, è costretta a ricorrere all’attenzione di specialisti psicoterapeuti o psichiatri, soprattutto, laddove la sindrome è espressione conclamata, di più gravi disagi o di più serie patologie, ricordiamo le depressioni, che si conclamano con disturbi anche intestinali.


Le diete
 
Le diete hanno assunto un significato clinico, anche nella sindrome dell’intestino irritabile poiché si è visto che a volte, alla base di tutto, v’è un approccio col cibo sbagliato e basta correggerlo per sanare il problema. Ma non sempre e così e la stessa restrizione alimentare, dovrà essere prescritta da personale qualificato e non dal singolo paziente o dai consigli ricavati qua e là, considerato anche che, come si è visto, a volte, persino stravolgere le proprie abitudini alimentari, ha effetti importanti sull’insorgenza dei sintomi dell’affezione che vorremmo curare. 


Generalmente, il primo approccio con la dieta sarà volto ad escludere quei cibi causa di vere e proprie intolleranze alimentari, spesso imputato numero uno è il latte e i suoi derivati, così che, l’allontanamento al lattosio potrebbe essere sufficiente per regolarizzare l’intestino. 


E’ provato che questo provvedimento, ha successo nella metà dei pazienti. Allo stesso risultato vi si giunge con l’allontanamento di eventuali spezie aromatiche, quando non sia il latte responsabile dell’affezione, oppure, dopo eliminazione di bevande come il vino o la birra, o, ancora, di alcuni crostacei, o verdure, come la lattuga, ad esempio,oppure i pomodori, alcuni legumi, fagioli in testa, le mousse; insomma, se si riesce ad individuare l’alimento che gioca un ruolo nel disturbo, le speranze di guarire, del tutto, sono alte.

L’approccio terapeutico con la dieta, invece, al di là delle intolleranze appena viste, si basa su diversi momenti e in questo, l’esperienza del medico gioca un ruolo importante. L’utilizzo della crusca, ad esempio, giustificato dal fatto che la stessa aumenta il volume fecale è una pratica attuata, ma, oggi, guardato dalla medicina in maniera controversa, preferendo alla crusca una dieta ricca di fibre, attuata in modo graduale per dare la possibilità all’intestino di abituarsi al cambiamento e nel far questo, si dovrà provvedere anche ad un adeguamento del bilancio idrico, che dovrà essere aumentato, nel tempo, fino a 1/ 2 litri in più di acqua al giorno, a seconda dei casi e, soprattutto, quando si accusa stipsi. 


Concludendo, come si vede, la sindrome dell’intestino irritabile è tanto differenziata, da soggetto a soggetto, che è impossibile istaurare un regime dietetico, una terapia farmacologica o comportamentale, unica per tutti, tutt’altro; mai come in questa affezione, ogni paziente risponde in maniera, diametralmente opposta, spesso, ad un altro. Persino la medicina, intesa come scienza, non è unanime nel ritenere, efficaci, determinati farmaci utilizzati per questa sindrome, pur con l’evidenza di un miglioramento dei sintomi nei pazienti dopo l’assunzione dei maggiori preparati farmacologici utilizzati. 


Ciò ci induce a pensare ed ad avvalorare che la componente psicologica entri, quasi sempre, nella sindrome dell’intestino irritabile e che, a volte, persino spegnere un sintomo sia sufficiente ad indurre un benessere nel paziente al punto da lasciare alle sue potenzialità il compito di allontanare, del tutto o quasi, l’affezione.


Una cosa è certa, il ricorso al medico, di fronte a problematiche dell’intestino, di qualsivoglia natura, è “obbligatorio” e il giusto rapporto intercorso fra medico e paziente, mai come in questi casi, assume quella rilevanza fondamentale nel miglioramento dei sintomi lamentati, così come è fondamentale escludere, nella maniera più assoluta, il ricorso al “fai da te”, per via del rischio di croniccizzare ancor di più una affezione, che, comunque la si affronti è, sicuramente contraddistinta, in primis, dal suo carattere cronico e da episodi di forma acuta, molto ricorrenti e, a volte, persino, penosi.


Fonte: Terapia Medica – Autori vari – Piccin Editore

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