giovedì 2 gennaio 2014

Malattie croniche: curarsi è divenuto un lusso!


I costi privati da sostenere sono troppo elevati, l’assistenza farmaceutica, domiciliare e di riabilitazione è erogata a macchia di leopardo, le ripercussioni sul lavoro sono talmente pesanti che si rinuncia alle cure o si arriva a nascondere la propria patologia: avere una malattia cronica o rara, o assistere una persona malata in famiglia, è sempre più un’odissea, curarsi non è permesso o è diventato un vero “lusso” perché i costi diretti e indiretti della malattia sono sempre più insostenibili per i pazienti e per le loro famiglie. 

Una situazione fotografata dal XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità, dal titolo “Permesso di cura”, presentato oggi a Roma dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva.

Uno dei problemi riscontrati riguarda il contesto lavorativo: l’84% delle associazioni dichiara che i pazienti non riescono a conciliare l’orario di lavoro con le esigenze di cura ed assistenza, al punto che nel 63% dei casi hanno ricevuto segnalazioni di licenziamenti o mancato rinnovo del rapporto lavorativo per le persone con patologie croniche e invalidanti e nel 41% dei casi per i familiari che li assistono.  Il 60% ha riscontrato difficoltà nella concessione dei permessi retribuiti, il 45% nella concessione del congedo retribuito di due anni; il 49% evita di prendere sul lavoro permessi per cura e il 43% nasconde la propria patologia.

C’è poi l’annoso problema dei costi dell’assistenza sociosanitaria: il 54% ritiene troppo pesante o oneroso il carico assistenziale non garantito dal Servizio sanitario nazionale. Le spese annuali a carico del paziente sono molto elevate: se ci si affida alle cure di una “badante” servono oltre 9 mila euro l’anno, mentre si spendono in media 1585 euro all’anno per tutto ciò che serve alla cosiddetta prevenzione terziaria (diete particolari, attività fisica, dispositivi e tutto ciò che è utile per evitare le complicanze), più di 1.000 euro per visite ed esami a domicilio, o ancora in media 3711 euro l’anno per adattare la propria abitazione alle esigenze di cura. I farmaci non rimborsati costano in media 650 euro, i parafarmaci 900 euro. Chi non può pagare, in una percentuale che arriva anche all’80% di chi è in cura, rinuncia alla riabilitazione, al monitoraggio della patologia, ad acquistare i farmaci non dispensati,  alla badante, all’acquisto di protesi e ausili non passati dal servizio sanitario nazionale.

In un contesto del genere, la prevenzione viene ritenuta ampiamente insufficiente, e anche chi si impegna personalmente spesso è costretto a ricorrere alle visite private. La diagnosi troppo spesso arriva in ritardo: il 75% delle Associazioni dichiara di aver ravvisato ritardi diagnostici nella propria patologia di riferimento. Il sospetto diagnostico viene formulato generalmente dallo specialista di riferimento (67%) e solo nel 20% dei casi dal Medico di Medicina Generale che si interfaccia con lo specialista solo per il 59% delle associazioni. Continuano inoltre le difficoltà per vedersi riconosciuta l’invalidità civile.

Dal Rapporto emerge inoltre una Italia a più velocità, dove l’assistenza farmaceutica, quella protesica, così come l’assistenza domiciliare e la riabilitazione sono erogati a macchia di leopardo. Anche i percorsi diagnostici terapeutici  e i registri di patologia (che indicano il numero di pazienti, suddivisi per patologia e regione di residenza) sono poco diffusi e segnalati principalmente al Nord. Il 61% delle Associazioni dichiara di avere difficoltà di accesso all’assistenza farmaceutica in alcune regioni. Le principali criticità riguardano i tempi eccessivamente lunghi per l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte dell’AIFA (50%), il costo dei farmaci non rimborsati dal SSN in fascia C (44%), le limitazioni da parte dell’Aziende ospedaliere o dalle ASL per motivi di budget ed i tempi di inserimento dei farmaci nei Prontuari regionali diversi da regione a regione (41%). Il 39% delle Associazioni, ancora, ha riscontrato l’interruzione o il mancato accesso a terapie perché particolarmente costose.

Ritardare o rinunciare alle cure necessarie, perdere il posto di lavoro, confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni socio sanitarie è ciò che vivono sulla propria pelle i cittadini grazie ad anni di politiche di disinvestimento del Welfare e di erosione dei diritti. Non possiamo accettare che per “fare cassa” si continui a smantellare il SSN o peggio ancora a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e all’inclusione sociale – commenta Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile del CnAMC di Cittadinanzattiva – Chiediamo al Governo e al Parlamento un’azione concreta, a partire dalla Legge di Stabilità in discussione, eliminando l’insopportabile misura prevista dalla L. 214/2011 e dal nuovo regolamento ISEE secondo cui i trattamenti assistenziali come indennità di invalidità civile e di accompagnamento sono considerati “fonti di reddito” e quindi da considerare nel computo dei redditi familiari. Chiediamo inoltre al Governo e alle Regioni di avviare un confronto anche con le Associazioni di cittadini e di pazienti sia sul Patto per la Salute, sia sulla prossima Spending review, che rappresentano le vere partite per il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Non vogliamo infatti correre il rischio che queste misure possano comportare un’ulteriore compressione di tutele e di diritti”.

 Ufficio Stampa Help Consumatori

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