Vacilla un po’ l’idea che la Fluoxetina, più nota
col nome del farmaco che la contiene, il Prozac, la “pillola della felicità”,
sia del tutto innocua per l’organismo, ciò da quando si sarebbe visto che
l’aumento dei livelli di serotonina non seguiti da assorbimento, per
contrastare l’ansia e la depressione, alla lunga modificano la fisiologia del
cervello.A questo risultato, che deve intendersi limitato
allo studio che ne è seguito, è giunta un’equipe di ricercatori della Nippon Medical School, che hanno pubblicato il lavoro
scientifico sulla rivista Molecular Brain dopo aver studiato gli effetti della
sostanza sull’ippocampo, una zona del cervello nota perché custode della nostra
sfera emotiva e nella memoria recente e remota.
Parrebbe infatti proprio l'ippocampo la zona del cervello
direttamente coinvolto nel Morbo di Alzheimer. Oltretutto, l’estrema plasticità
delle connessioni fra i diversi neuroni, tipici dell’ippocampo, spiegherebbero
il ruolo che la struttura riveste nella memoria e nell’immagazzinamento dei
ricordi. Secondo Katsunori Kobayashi, a capo del gruppo di
studio, il trattamento cronico a base di fluoxetina nei topi adulti ha
provocato dei mutamenti nelle cellule dei granuli dell’ippocampo e nelle
connessioni con altri tipi di cellula.
Il risultato che si sarebbe ottenuto è
non soltanto funzionale del cervello, dove si sarebbe osservato come l’eccesso
di serotonina agisca alla lunga negativamente a livello dei neuroni, ma nella
pratica i danni sono di tipo comportamentale avendo osservato, negli animali,
che il loro stato, dopo trattamento intensivo con il Prozac, variava da una situazione di tipo ansioso
fino a veri e propri stati di ipo e
iper-attività.“Alcuni effetti collaterali del Prozac negli
esseri umani, come l’ansia e l’instabilità comportamentale, potrebbe essere
legata all’eccessiva dematurazione delle cellule dei granuli nell’ippocampo.”
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