giovedì 26 settembre 2013

Malattie della tiroide: in forte aumento nelle donne



Perché, soprattutto nelle donne, stanno aumentando in maniera significativa le malattie della tiroide, stante il fatto che oggi tali patologie colpiscono il 10 per cento delle donne e che nei prossimi venti anni, in assenza di una controtendenza, potrebbero addirittura aumentare fors’anche raddoppiare? Una domanda che si è posto anche Enrico Papini, responsabile scientifico Associazione medici endocrinologi (Ame) e direttore Uoc Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell’Ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale e che sicuramente merita una risposta immediata.

Tanta attenzione nei confronti di questa ghiandola endocrina è dovuta a diversi fattori. Il primo è dovuto al fatto che quando la tiroide si ammala ed in questo caso si assiste in particolar modo alla tiroidite di Hashimoto, una patologia autoimmune, il rischio di andare incontro alle altre patologie correlate è tutt’altro che raro, ricordando che le malattie che si associano a questa patologia sono per lo più rappresentate dall’ipotiroidismo, dai noduli e dai tumori alla tiroide che, grazie alla diagnosi precoce, vengono guariti nella maggioranza dei casi. Ma l’altro fattore importante da tenere in conto, di fronte a questo incremento di patologie a carico della tiroide è relativo al fatto di sapere il motivo di questo aumento negli anni e soprattutto a carico della donna. Secondo Papini, ciò “ e’ attribuibile sia all’inquinamento ambientale che a situazioni locali, come le radiazioni vulcaniche o la carenza iodica che caratterizza alcune aree del nostro territorio”.

”I noduli della tiroide sono molto frequenti nella popolazione italiana e “giungono ad interessare il 30-50% nelle donne in eta’ fertile- continua l’esperto- L’uso combinato dell’ecografia e dell’esame citologico con ago sottile ha consentito di individuare le lesioni a rischio di malignita’ e di ridurre il numero degli interventi di tiroidectomia a scopo diagnostico-precauzionale”. Tuttavia, le casistiche chirurgiche dimostrano che la “maggioranza degli interventi di asportazione della tiroide e’ tuttora eseguito su casi che si rivelano benigni”.

Secondo Papini “questo dato fa riflettere sull’opportunita’ di evitare ai pazienti interventi non necessari, e le conseguenze potenzialmente sfavorevoli che talora ne derivano. L’obiettivo e’ quindi limitare gli interventi chirurgici, quando il nodulo alla tiroide e’ benigno, ai soli pazienti che presentino ipertiroidismo o sintomi compressivi non altrimenti gestibili”. Per questo motivo “sono state recentemente impiegate- spiega- varie tecniche mini-invasive, eseguibili senza ricovero ne’ necessita’ di anestesia generale”. Cio’ consente di mantenere, anche se parzialmente, la funzione della tiroide “evitando i costi sociali e sanitari della chirurgia- conclude- e la necessita’ di una terapia sostitutiva per tutta la vita”.


Fonte: Improntalaquila

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