Perché, soprattutto nelle donne, stanno aumentando in
maniera significativa le malattie della tiroide, stante il fatto che oggi tali
patologie colpiscono il 10 per cento delle donne e che nei prossimi venti anni,
in assenza di una controtendenza, potrebbero addirittura aumentare fors’anche
raddoppiare? Una domanda che si è posto anche Enrico Papini, responsabile scientifico
Associazione medici endocrinologi (Ame) e direttore Uoc Endocrinologia e
Malattie Metaboliche dell’Ospedale Regina Apostolorum di Albano Laziale e che
sicuramente merita una risposta immediata.
Tanta attenzione nei confronti di questa ghiandola
endocrina è dovuta a diversi fattori. Il primo è dovuto al fatto che quando la
tiroide si ammala ed in questo caso si assiste in particolar modo alla tiroidite di Hashimoto, una patologia autoimmune, il
rischio di andare incontro alle altre patologie correlate è tutt’altro che
raro, ricordando che le malattie che si associano a questa patologia sono per
lo più rappresentate dall’ipotiroidismo, dai noduli e dai tumori alla tiroide
che, grazie alla diagnosi precoce, vengono guariti nella maggioranza dei casi. Ma
l’altro fattore importante da tenere in conto, di fronte a questo incremento di
patologie a carico della tiroide è relativo al fatto di sapere il motivo di
questo aumento negli anni e soprattutto a carico della donna. Secondo Papini,
ciò “ e’ attribuibile sia all’inquinamento ambientale che a situazioni locali,
come le radiazioni vulcaniche o la carenza iodica che caratterizza alcune aree
del nostro territorio”.
”I noduli della tiroide sono molto frequenti nella popolazione italiana e “giungono ad interessare il 30-50% nelle donne in eta’ fertile- continua l’esperto- L’uso combinato dell’ecografia e dell’esame citologico con ago sottile ha consentito di individuare le lesioni a rischio di malignita’ e di ridurre il numero degli interventi di tiroidectomia a scopo diagnostico-precauzionale”. Tuttavia, le casistiche chirurgiche dimostrano che la “maggioranza degli interventi di asportazione della tiroide e’ tuttora eseguito su casi che si rivelano benigni”.
Secondo Papini “questo dato fa riflettere sull’opportunita’ di evitare ai pazienti interventi non necessari, e le conseguenze potenzialmente sfavorevoli che talora ne derivano. L’obiettivo e’ quindi limitare gli interventi chirurgici, quando il nodulo alla tiroide e’ benigno, ai soli pazienti che presentino ipertiroidismo o sintomi compressivi non altrimenti gestibili”. Per questo motivo “sono state recentemente impiegate- spiega- varie tecniche mini-invasive, eseguibili senza ricovero ne’ necessita’ di anestesia generale”. Cio’ consente di mantenere, anche se parzialmente, la funzione della tiroide “evitando i costi sociali e sanitari della chirurgia- conclude- e la necessita’ di una terapia sostitutiva per tutta la vita”.
Fonte: Improntalaquila
Nessun commento:
Posta un commento
Ti preghiamo di inserire sempre almeno il tuo nome di battesimo in ogni commento