Quando
si parla di epatite siamo soliti contrassegnare il tipo diinfiammazione al fegato utilizzando cinque lettere dell’alfabeto,
la A, la B, la C, la D, la E. Quest’ultima forma l’abbiamo spesso
associata al consumo di frutti di mare allevati in condizioni
igieniche precarie e privi di controlli sanitari adeguati, ma
sopratutto siamo stati spesso indotti a credere che il pericolo di
ammalarsi fosse remoto in quanto il contagio avveniva in lontane
località dove il consumo di acqua da bere poteva rappresentare in sé
un problema, atteso che il virus alberga in acque inquinate. Per
porre riparo a questo rischio, bastava ricorrere alla classica e
sicura bottiglia di acqua minerale. Ma un recente studio dell’EFSA,
l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare, ha puntato i
riflettori anche su certe abitudini alimentari che ci riguardano moto
da vicino.
L'EFSA, ha pure puntato il dito sull’aumento significativo di
casi di Epatite E negli ultimi dieci anni in Europa, con un picco di
21 mila nuovi casi in un solo decennio, l’Epatite E, non ha pari, in fatto di diffusione della malattia rispetto alle altre forme
di infezione al fegato, vista la minore diffusione, ma ciò non
toglie che rappresenta pur sempre un rischio, in certi casi elevato,
si pensi alle donne in stato di gravidanza che corrono un rischio
ancora maggiore di patire gli effetti nefasti del virus. I recenti
studi ed osservazione sul grado della
malattia da parte dell’Agenzia
europea hanno fatto rilevare che il rischio di infettarsi col virus
dell’Epatite E è elevato a seguito del consumo di carne di maiale,
carne di cinghiale, fegato e frattaglie di questi animali, anche
allevati ad uso domestico, mangiati crudi o scarsamente cotti.
Del
resto, l’aumento così significativo di casi in Europa in un arco
di tempo tutto sommato ristretto non poteva associarsi al solo consumo di
acqua inquinata in zone del mondo degradate dove l’infezione è
addirittura endemica. Qualcosa doveva incidere sulla malattia
all’interno dell’Europa stessa, quindi oggi sappiamo che la
principale fonte di trasmissione della malattia in Europa è il cibo
ed in particolare, come detto, i maiali domestici compresi i
cinghiali che possono essere a loro volta portatori del virus, anche
se il consumo di carne di cinghiale è di norma molto limitato. Ne
deriva che queste carni, a parere dell’EFSA, andranno ben cotte per
scongiurare la possibilità di non uccidere il virus presente ancora
nelle carni e, quindi, evitando il consumo di carne poco cotta o
addirittura cruda. Sull’epatite
E, come
fa rilevare Help Consumatori, si
è concentrato ancheun
recente rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo
delle malattie.Il
documento evidenzia che l’incidenza del virus dell’epatite E, nell’area europea, è in costante aumento con 21.081
casi riportati negli ultimi dieci anni (dal 2005 al 2015);
nello stesso periodo sono stati riportati 28 morti associati
all’epatite E da cinque paesi. La maggior parte di chi contrae
l’epatite E è asintomatica oppure presenta sintomi lievi ma in
alcuni casi, soprattutto in coloro che presentano già danno epatico
o nei pazienti immuno-depressi, può portare a insufficienza epatica,
che può risultare fatale.
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