Lo abbiamo celebrato come l'elisir di lunga vita, la pozione magica per la memoria e il rimedio definitivo contro l'invecchiamento cognitivo. Poi, all'improvviso, nel 2009, la scienza ha cambiato le carte in tavola. Da un giorno all'altro, il Ginkgo biloba è stato detronizzato. Ma a noi piace scavare a fondo e non accontentarci delle mezze verità.
Lo scandalo del 2009: il verdetto dello studio GEM
Immaginatevi la scena: lo studio GEM (Ginkgo Evaluation of Memory), un'indagine imponente durata sei anni, ha arruolato 3.000 anziani per mettere alla prova il "miracolo" del Ginkgo. Un gruppo ha assunto una dose di 120 mg al giorno, l'altro ha preso un placebo. Il risultato? Un sonoro "zero a zero". Nessuna differenza significativa nel rallentare il declino cognitivo tra i due gruppi.
Sembrava la fine di tutto, ma noi contestiamo il metodo: perché quando si studiano le sostanze naturali, spesso mancano i crismi scientifici che si usano per i farmaci? Nessuno si è preoccupato di chiarire se si trattava di uno studio in cieco, doppio cieco e se i risultati furono ripetuti e confrontati. Troppe domande senza risposta.
Corsi e ricorsi storici: il Ginkgo si riabilita (ma con riserva)
Eppure, a volte la storia ci ripaga. Sebbene il verdetto del 2009 sulla prevenzione fosse un duro colpo, ricerche successive hanno rimescolato le carte, spostando il focus. Il Ginkgo non è più l'elisir di lunga vita per tutti, ma ha acquisito un nuovo ruolo. La scienza non l'ha completamente scartato, ma ha cambiato il suo "lavoro".
Non prevenzione, ma trattamento. È emerso che il Ginkgo non è utile per prevenire il declino in soggetti sani, ma diverse meta-analisi e studi successivi hanno suggerito un possibile miglioramento dei sintomi cognitivi e neuropsichiatrici (come ansia e depressione) in pazienti a cui è già stata diagnosticata una demenza lieve o moderata. In pratica, non è un'assicurazione per il futuro, ma un possibile coadiuvante terapeutico.
L'importanza di dose e formulazione. Altro punto cruciale: non tutti gli integratori sono uguali. È emerso che dosaggi più alti (240 mg al giorno) e l'utilizzo di estratti standardizzati specifici (come l'EGb 761) sembrano essere più efficaci, dimostrando che il principio attivo e la sua qualità fanno tutta la differenza del mondo.
Ruolo complementare. L'uso del Ginkgo è stato esplorato anche in combinazione con farmaci tradizionali, suggerendo un potenziale ruolo sinergico. Certo, servono ulteriori ricerche, ma la pista è aperta.
Non credere a chi vende fumo (e integratori a basso costo)
Quindi, alla fine, un albero che esiste da 300 milioni di anni serve solo a lenire l'ansia e a supportare la memoria in casi di demenza conclamata? La cosa, diciamocelo, lascia un po' di amaro in bocca. Ma dobbiamo ammettere che l'utilizzo degli estratti standardizzati delle sue foglie resta ampiamente riconosciuto per le loro proprietà antiossidanti e per favorire la circolazione cerebrale.
E qui arriva il punto dolente: il mercato. Il verdetto del 2009 è stato un regalo per chi vende integratori di bassa qualità. Spesso, per Ginkgo biloba, ci vendono un pugno di foglie secche. Il prezzo deve essere un campanello d'allarme: gli estratti standardizzati hanno costi elevati. Se il prezzo è troppo basso, con ogni probabilità state acquistando una frode.
La nostra conclusione: un alleato da usare con criterio
Lo studio del 2009 non ha cancellato il Ginkgo dalla lista dei nostri alleati, ha solo precisato il suo ruolo. Ha costretto la scienza a essere più onesta e noi consumatori a essere più attenti. La fama di questa pianta, spesso, è stata rovinata da produttori senza scrupoli.
L'uso del Ginkgo, soprattutto per condizioni mediche, deve essere discusso con il tuo medico o neurologo o altro professionista della salute, fitoterapista in testa. La conoscenza è l'unica arma per non farsi fregare. E tu, sei pronto a usarla?

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