La Vitamina D per la cura della Polimialgia Reumatica: Sì, ma Solo a Queste Condizioni

 


Chi ha più di 50 anni, uomo o donna che sia, a volte si ritrova a fare i conti con un'inaspettata compagna di viaggio: la Polimialgia Reumatica (PMR). Non è una patologia rara e, anche se non tutti ne hanno sentito parlare, chi ne soffre sa bene quanto possa essere fastidiosa, a volte dolorosa, e con un impatto significativo sulla qualità della vita.

Ma cos'è esattamente la PMR? Non è una semplice "malattia dei muscoli", come si potrebbe pensare. È una malattia infiammatoria che si manifesta con un dolore e una rigidità che si avvertono soprattutto al mattino, avvolgendo le spalle, il collo e il bacino. A essere infiammati non sono le fibre muscolari, ma piuttosto il tessuto connettivo e le strutture che circondano le articolazioni, ovvero:

  • Le borse sinoviali: quelle piccole sacche piene di liquido che riducono l'attrito tra muscoli, ossa e tendini.

  • Le guaine tendinee: le strutture che avvolgono e proteggono i tendini.

  • Le capsule articolari: le membrane che racchiudono le articolazioni.

È un po' come se il "telaio" che tiene insieme l'apparato muscolo-scheletrico fosse infiammato, causando quella rigidità e quel dolore che si percepiscono come muscolari, rendendo difficili anche i movimenti più semplici.

Per la diagnosi, i medici non si basano solo sui sintomi. Prescrivono esami specifici come la Proteina C-Reattiva (PCR) e la Velocità di Eritrosedimentazione (VES), i cui valori risultano quasi sempre molto elevati. È un po' come se il corpo lanciasse un allarme, segnalando un'infiammazione in corso. L'altro esame importante, il cosiddetto "reuma test" (o fattore reumatoide), è invece quasi sempre negativo. Questo dettaglio è cruciale, perché aiuta a distinguere la PMR da altre patologie più conosciute, come l'artrite reumatoide.

Di fronte a tale quadro, l'interrogativo che sorge spontaneo è: perché ciò accade e, al di là dei farmaci, come possiamo affrontare la patologia?

Il Valore di Partenza Conta Davvero?

Come abbiamo visto altre volte, in caso di infiammazione di questo tipo, si cerca subito la possibile carenza di Vitamina D. L'idea intuitiva è che un basso valore di partenza possa essere la causa del problema. Ed è qui che lo Studio VITAL Trial,(Vitamin D and Omega-3) un trial clinico randomizzato e in cieco condotto negli Stati Uniti, coinvolgente oltre 25.000 persone uno dei più ampi studi su Vitamina D e Omega-3, ci regala un dato sorprendente.

I ricercatori hanno diviso i partecipanti in due gruppi: uno con pazienti affetti da PMR e un gruppo di controllo di persone senza la patologia. Sorprendentemente, hanno scoperto che i livelli iniziali di Vitamina D non erano significativamente diversi tra i due gruppi.

Questa evidenza ci spinge a fare una riflessione importante: spesso ci fissiamo sui valori iniziali di un esame del sangue, ma questo studio ci insegna che non è così semplice. Non è tanto la quantità che conta, ma la risposta del nostro organismo.

Non è la Vitamina D, ma la Tua Risposta a Essa

Ed è qui che lo studio diventa davvero interessante. I ricercatori hanno osservato cosa è successo quando ai pazienti con PMR è stata somministrata un'integrazione di Vitamina D. Hanno scoperto che la risposta individuale all'integratore era il vero fattore predittivo per una remissione precoce della malattia.

I ricercatori hanno infatti somministrata un'integrazione di Vitamina D, fornendo le giuste indicazioni per renderla biodisponibile. In questo modo hanno scoperto che la risposta individuale a questa strategia era il vero fattore predittivo per una remissione precoce della malattia. I pazienti che, dopo tre mesi, hanno visto un aumento massiccio dei loro livelli di Vitamina D sono stati proprio quelli che sono andati in remissione. I dati parlano chiaro: un aumento medio di oltre 22 ng/mL in chi è guarito, contro un aumento minimo di appena 1.33 ng/mL in chi non ha avuto una remissione.

Ecco la riprova: non basta assumere la Vitamina D per risolvere il problema, bisogna che il corpo la renda biodisponibile. Questo è un concetto che spesso si dimentica. L'efficacia di un integratore non è scontata. Non basta comprare un flacone e assumere delle compresse, ma è fondamentale che il nostro corpo sia in grado di assorbire e utilizzare quella sostanza.

Come abbiamo visto in altri articoli, per rendere la Vitamina D biodisponibile è cruciale la presenza di altri co-fattori, come il Magnesio. Senza di esso, la Vitamina D non viene attivata e rimane inefficace. Bisogna anche tenere conto che la Vitamina D è liposolubile, ovvero si scioglie nei grassi, quindi va assunta a stomaco pieno. E spesso è meglio optare per un'assunzione quotidiana rispetto a mega dosi mensili e integrarla anche con la Vitamina K2.

Il ruolo di un buon medico che fa la differenza è proprio questo: non limitarsi a prescrivere, ma monitorare e capire come il tuo organismo sta rispondendo a una data terapia, che sia un farmaco o un integratore. Ma il ruolo di un buon paziente deve essere anche quello di evitare il "fai da te", affidandosi sempre a professionisti della salute.

In conclusione, lo studio VITAL Trial, che in realtà era molto più ampio e si è esteso per cinque anni, ha dimostrato che una supplementazione giornaliera di Vitamina D (2000 UI) ha portato a una riduzione del 22% dell'incidenza di malattie autoimmuni, tra cui l'artrite reumatoide, la psoriasi e anche la Polimialgia Reumatica. Questo conferma che la Vitamina D non agisce solo sulle ossa, ma ha un ruolo immunomodulatore e antinfiammatorio significativo. La sua forza non è nella semplice quantità, ma nella sua capacità di agire in sintonia con il tuo corpo. Tutte cose che ancora adesso per molti sono tabù, difficile immaginare il perchè?



Commenti