I
calciatori professionisti avranno tanti privilegi nel corso della
loro carriera, sopratutto se militano nelle squadre maggiori, ma lo
sport da loro praticato non è esente da rischi e non parliamo degli
infortuni sul campo da gioco, atteso che il calcio come molti altri
sport presenta pericoli durante l’attività, né ci riferiamo a
quanto sta emergendo nell’ultimo periodo a proposito dei farmaci
utilizzati per anni sui calciatori, probabilmente senza alcuna
prudenza.
Ci
riferiamo invece ad uno studio del
Karolinska
Institute di Stoccolma effettuato da un gruppo di ricercatori con a
capo Peter Ueda, che avrebbero rilevato quanto i colpi di testa,
tipici delle fasi più importanti del gioco, in sede difensiva o
sotto la porta per ambire al tanto sospirato goal, potrebbero rappresentare l’apripista per lo
sviluppo di gravi malattie neurodegenerative che aprono la strada a
malattie quali la demenza e in qualche caso, persino al Morbo di Alzheimer.
Il
rischio di demenza che si sarebbe osservato nei calciatori
professionisti risulta elevato del 50% rispetto alla popolazione
normale che non pratica sport ad alti livelli, mentre l’Alzheimer,
sempre secondo i ricercatori svedesi,
sarebbe aumentato del 62% e
tale evidenza sarebbe stata confermata anche da ricercatori
in Lancet Public Healthopens in a new tab or window. La
riprova che a determinare il rischio di queste malattie
neurodegenerative siano i ripetuti colpi di testa dei calciatori
ce la da anche l’evidenza di come i portieri che colpiscono
raramente la palla di testa non presentano nessun aumento
significativo di sviluppare malattie neurodegenerative.
"A
differenza dei giocatori esterni, i portieri colpiscono raramente la
palla di testa", ha dichiarato Ueda a MedPage Today. - Sebbene
questa differenza possa essere influenzata anche da altri fattori che
variano a seconda della posizione del calciatore, la scoperta dà
sostegno all'ipotesi che dirigere la palla possa aumentare il rischio
di demenza".
Non
è la prima volta che ricercatori
svedesi si cimentano ad indagare sulla salute dei calciatori e sul
rischio che questi hanno nell’esporsi alla malattia di Alzheimer
comprese le demenze, visto che in passato si era constato che la
mortalità dei calciatori professionisti per malattie
neurodegenerative era aumentata di tre volte e mezzo rispetto a chi
non esercita questo sport a livello agonistico. Altri studi in area
britannica avevano poi perfezionato la ricerca pervenendo al risultato
che la possibilità di andare incontro a questo tipo di malattie, che
nel tempo determinano il decesso precoce, era anche in funzione della
posizione
in campo e della
durata della carriera.
"Il
fatto che questo studio ben condotto replichi una precedente ricerca
sui giocatori di calcio in Scozia dovrebbe convincere gli scettici
che la connessione tra colpi di testa e demenza è reale e
prevenibile", ha dichiarato Chris Nowinski, PhD, della
Concussion Legacy Foundation di Boston, che non era coinvolto nello
studio. - Dobbiamo ridurre al minimo il rischio, aumentando l'età in
cui i bambini iniziano a colpire di testa e riducendo la frequenza e
l'entità dei colpi di testa", ha dichiarato Nowinski a MedPage
Today. "L'Associazione
calcistica inglese sta guidando la conversazione sull'età della
prima esposizione eliminando le testate prima dei 12 anni", ha
sottolineato Nowinski. - Altri Paesi dovrebbero allinearsi a questa
politica e prevedo che l'età aumenterà man mano che ci si renderà
conto dei benefici derivanti dalla riduzione delle commozioni
cerebrali nei bambini e dei casi di CTE (encefalopatia traumatica
cronica) nei giocatori di football", ha aggiunto. "Una
volta introdotta l'intestazione, le organizzazioni sportive dovranno
fissare limiti rigorosi, soprattutto per gli impatti di maggiore
entità".
Ma
come si sarebbe
giunti a tali risultati? Lo studio avrebbe preso in esame ben 6007
calciatori di sesso maschile che hanno militato in in squadre di
calcio svedesi in epoche diverse in un arco temporale che
ha racchiuso tutte le partite effettuate negli anni 1924/2019 e hanno
poi raffrontato lo stesso arco temporale rispetto alla popolazione
generale effettuando 56.168 controlli, giungendo a questi risultati:
l’
8,2% dei calciatori ha sviluppato una malattia degenerativa come la
demenza o l’alzheimer rispetto al 5,1% riferito all’incidenza
delle stesse malattie sulla popolazione generale. La SLA sui
calciatori non era aumentata rispetto alla percentuale di insorgenza
rispetto alla popolazione generale. Qui c’è da dire che parliamo
della Svezia e non dell' Italia, dove la possibilità per i calciatori
professionisti di sviluppare la SLA è di gran lunga maggiore
rispetto alla popolazione generale ma determinata probabilmente dai farmaci assunti nei pre partita dagli atleti e vedremo in altro momento
questa casistica.
Il morbo di Parkinson era meno comune tra i calciatori rispetto alla
popolazione generale, e la morte per qualsiasi causa era leggermente
inferiore. La
minore mortalità complessiva potrebbe indicare che i calciatori
d'élite godono di una salute generale e di una forma fisica migliore
rispetto alla popolazione generale, ha osservato il coautore dello
studio Björn Pasternak, anch'egli del Karolinska
Institute.
"L'attività
fisica è associata a un minor rischio di demenza, quindi si potrebbe
ipotizzare che i rischi potenziali derivanti dagli impatti alla testa
siano in qualche modo compensati da una buona forma fisica", ha
detto Pasternak. "Una buona forma fisica può anche essere la
causa del minor rischio di Parkinson".
I
ricercatori comunque concludono che i dati si rifanno ad una
popolazione di calciatori anche riferita alla metà del secolo scorso
e non è detto che se si ripetesse oggi lo studio sulle nuove
generazioni di calciatori di giungerebbe allo stesso risultato.
"A differenza dei giocatori esterni, i portieri colpiscono raramente la palla di testa", ha dichiarato Ueda a MedPage Today. - Sebbene questa differenza possa essere influenzata anche da altri fattori che variano a seconda della posizione del calciatore, la scoperta dà sostegno all'ipotesi che dirigere la palla possa aumentare il rischio di demenza".
"Il fatto che questo studio ben condotto replichi una precedente ricerca sui giocatori di calcio in Scozia dovrebbe convincere gli scettici che la connessione tra colpi di testa e demenza è reale e prevenibile", ha dichiarato Chris Nowinski, PhD, della Concussion Legacy Foundation di Boston, che non era coinvolto nello studio. - Dobbiamo ridurre al minimo il rischio, aumentando l'età in cui i bambini iniziano a colpire di testa e riducendo la frequenza e l'entità dei colpi di testa", ha dichiarato Nowinski a MedPage Today. "L'Associazione calcistica inglese sta guidando la conversazione sull'età della prima esposizione eliminando le testate prima dei 12 anni", ha sottolineato Nowinski. - Altri Paesi dovrebbero allinearsi a questa politica e prevedo che l'età aumenterà man mano che ci si renderà conto dei benefici derivanti dalla riduzione delle commozioni cerebrali nei bambini e dei casi di CTE (encefalopatia traumatica cronica) nei giocatori di football", ha aggiunto. "Una volta introdotta l'intestazione, le organizzazioni sportive dovranno fissare limiti rigorosi, soprattutto per gli impatti di maggiore entità".
"L'attività
fisica è associata a un minor rischio di demenza, quindi si potrebbe
ipotizzare che i rischi potenziali derivanti dagli impatti alla testa
siano in qualche modo compensati da una buona forma fisica", ha
detto Pasternak. "Una buona forma fisica può anche essere la
causa del minor rischio di Parkinson".
Fonte:
Pharmastar
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