martedì 21 marzo 2023

Calciatori professionisti: Alzheimer e demenza aumentati per i troppi colpi di testa!

I calciatori professionisti avranno tanti privilegi nel corso della loro carriera, sopratutto se militano nelle squadre maggiori, ma lo sport da loro praticato non è esente da rischi e non parliamo degli infortuni sul campo da gioco, atteso che il calcio come molti altri sport presenta pericoli durante l’attività, né ci riferiamo a quanto sta emergendo nell’ultimo periodo a proposito dei farmaci utilizzati per anni sui calciatori, probabilmente senza alcuna prudenza.

Ci riferiamo invece ad uno studio del Karolinska Institute di Stoccolma effettuato da un gruppo di ricercatori con a capo Peter Ueda, che avrebbero rilevato quanto i colpi di testa, tipici delle fasi più importanti del gioco, in sede difensiva o sotto la porta per ambire al tanto sospirato goal, potrebbero rappresentare l’apripista per lo sviluppo di gravi malattie neurodegenerative che aprono la strada a malattie quali la demenza e in qualche caso, persino al Morbo di Alzheimer.

Il rischio di demenza che si sarebbe osservato nei calciatori professionisti risulta elevato del 50% rispetto alla popolazione normale che non pratica sport ad alti livelli, mentre l’Alzheimer, sempre secondo i ricercatori svedesi, sarebbe aumentato del 62% e tale evidenza sarebbe stata confermata anche da ricercatori in Lancet Public Healthopens in a new tab or window. La riprova che a determinare il rischio di queste malattie neurodegenerative siano i ripetuti colpi di testa dei calciatori ce la da anche l’evidenza di come i portieri che colpiscono raramente la palla di testa non presentano nessun aumento significativo di sviluppare malattie neurodegenerative.

"A differenza dei giocatori esterni, i portieri colpiscono raramente la palla di testa", ha dichiarato Ueda a MedPage Today. - Sebbene questa differenza possa essere influenzata anche da altri fattori che variano a seconda della posizione del calciatore, la scoperta dà sostegno all'ipotesi che dirigere la palla possa aumentare il rischio di demenza".

Non è la prima volta che ricercatori svedesi si cimentano ad indagare sulla salute dei calciatori e sul rischio che questi hanno nell’esporsi alla malattia di Alzheimer comprese le demenze, visto che in passato si era constato che la mortalità dei calciatori professionisti per malattie neurodegenerative era aumentata di tre volte e mezzo rispetto a chi non esercita questo sport a livello agonistico. Altri studi in area britannica avevano poi perfezionato la ricerca pervenendo al risultato che la possibilità di andare incontro a questo tipo di malattie, che nel tempo determinano il decesso precoce, era anche in funzione della posizione in campo e della durata della carriera.

"Il fatto che questo studio ben condotto replichi una precedente ricerca sui giocatori di calcio in Scozia dovrebbe convincere gli scettici che la connessione tra colpi di testa e demenza è reale e prevenibile", ha dichiarato Chris Nowinski, PhD, della Concussion Legacy Foundation di Boston, che non era coinvolto nello studio. - Dobbiamo ridurre al minimo il rischio, aumentando l'età in cui i bambini iniziano a colpire di testa e riducendo la frequenza e l'entità dei colpi di testa", ha dichiarato Nowinski a MedPage Today. "L'Associazione calcistica inglese sta guidando la conversazione sull'età della prima esposizione eliminando le testate prima dei 12 anni", ha sottolineato Nowinski. - Altri Paesi dovrebbero allinearsi a questa politica e prevedo che l'età aumenterà man mano che ci si renderà conto dei benefici derivanti dalla riduzione delle commozioni cerebrali nei bambini e dei casi di CTE (encefalopatia traumatica cronica) nei giocatori di football", ha aggiunto. "Una volta introdotta l'intestazione, le organizzazioni sportive dovranno fissare limiti rigorosi, soprattutto per gli impatti di maggiore entità".

Ma come si sarebbe giunti a tali risultati? Lo studio avrebbe preso in esame ben 6007 calciatori di sesso maschile che hanno militato in in squadre di calcio svedesi in epoche diverse in un arco temporale che ha racchiuso tutte le partite effettuate negli anni 1924/2019 e hanno poi raffrontato lo stesso arco temporale rispetto alla popolazione generale effettuando 56.168 controlli, giungendo a questi risultati:

l’ 8,2% dei calciatori ha sviluppato una malattia degenerativa come la demenza o l’alzheimer rispetto al 5,1% riferito all’incidenza delle stesse malattie sulla popolazione generale. La SLA sui calciatori non era aumentata rispetto alla percentuale di insorgenza rispetto alla popolazione generale. Qui c’è da dire che parliamo della Svezia e non dell' Italia, dove la possibilità per i calciatori professionisti di sviluppare la SLA è di gran lunga maggiore rispetto alla popolazione generale ma determinata probabilmente dai farmaci assunti nei pre partita dagli atleti e vedremo in altro momento questa casistica.

Il morbo di Parkinson era meno comune tra i calciatori rispetto alla popolazione generale, e la morte per qualsiasi causa era leggermente inferiore. La minore mortalità complessiva potrebbe indicare che i calciatori d'élite godono di una salute generale e di una forma fisica migliore rispetto alla popolazione generale, ha osservato il coautore dello studio Björn Pasternak, anch'egli del Karolinska Institute.

"L'attività fisica è associata a un minor rischio di demenza, quindi si potrebbe ipotizzare che i rischi potenziali derivanti dagli impatti alla testa siano in qualche modo compensati da una buona forma fisica", ha detto Pasternak. "Una buona forma fisica può anche essere la causa del minor rischio di Parkinson".

I ricercatori comunque concludono che i dati si rifanno ad una popolazione di calciatori anche riferita alla metà del secolo scorso e non è detto che se si ripetesse oggi lo studio sulle nuove generazioni di calciatori di giungerebbe allo stesso risultato.




Fonte: Pharmastar

Nessun commento:

Posta un commento

Ti preghiamo di inserire sempre almeno il tuo nome di battesimo in ogni commento