Chi pensava che la depressione perinatale fosse solo roba da donne si sbagliava di grosso. Non è una semplice "depressione post-partum maschile", ma una condizione ben definita che può colpire i padri, a volte già durante la gravidanza della partner e fino a un anno dalla nascita del bambino. In un'epoca di parità assoluta, la "gara" a chi si deprime per primo è ufficialmente iniziata.
I numeri e i sintomi della "nuova" depressione
Gli studi dicono che su 100 futuri o neo papà, almeno 10 manifestano forme depressive. Non stiamo parlando di una semplice stanchezza, ma di sintomi precisi:
Tristezza o ansia persistente
Perdita di interesse per attività che prima piacevano
Disturbi del sonno, affaticamento e cambiamenti nell'appetito
Difficoltà di concentrazione
Ma nei padri, i segnali di allarme possono essere diversi, forse più mascherati e difficili da cogliere:
Irritabilità e rabbia
Aumento del lavoro o dipendenza dagli schermi
Uso di alcol o droghe per sfuggire alla realtà
Per l'identificazione, si usano questionari specifici come l'EPDS e il PHQ-9, somministrati spesso 3-6 mesi dopo il parto. E le soluzioni proposte?
Supporto sociale da amici e familiari.
Gruppi di supporto per padri, online e dal vivo.
Terapia con uno psicoterapeuta esperto in genitorialità.
Antidepressivi, come gli SSRI, se la situazione lo richiede.
I fattori di rischio sono chiari: una storia di depressione, la mancanza di sonno, i problemi economici, lo stress nella coppia e, soprattutto, la difficoltà nell'accettare il nuovo ruolo di genitore.
E i nostri nonni?
Il paragone con le generazioni passate è inevitabile. I nostri nonni facevano cinque, sei, anche dieci figli. Il solo fatto di doverli sfamare e vestire non lasciava spazio a troppi "pensieri negativi". E se anche ci fossero stati, la soluzione era una sola: rimboccarsi le maniche e andare avanti.
Oggi, il ruolo del padre è cambiato. Non è più solo il "sostentatore". È una figura centrale, con un coinvolgimento diretto, emotivo. Queste nuove aspettative sono positive, ma possono diventare un fardello, una fonte di ansia e inadeguatezza. L'uomo moderno naviga tra la tradizione e le nuove richieste sociali.
Un giudizio e una riflessione
Ma stiamo davvero diventando una società di ipocondriaci e potenziali fragili? È un punto di vista forte, che ha un fondo di verità. Spesso, tendiamo a etichettare come "malattia" ogni nostro disagio, anche quelli che potrebbero essere semplicemente un normale disorientamento, una fase di adattamento a un nuovo ruolo.
La genitorialità non è una condizione improvvisa, ma una scelta, spesso ardentemente desiderata. Forse il problema non è che i padri di oggi si deprimano, ma che non siano mentalmente preparati ad affrontare un cambiamento così radicale. Il rischio è che la nostra dipendenza dalla medicalizzazione diventi un gene trasmissibile, che passeremo ai nostri figli, abituandoli fin da piccoli a ricorrere a una pastiglia o a una terapia per ogni vivacità o disagio.
Forse, invece di blaterare al destino avverso che ci ha depressi, occorrerebbe fare un passo indietro e chiederci: stiamo davvero affrontando la vita o stiamo solo cercando il modo di sedarla? La medicina è una risorsa straordinaria, ma non può e non deve essere l'unica risposta a ogni sfida della nostra esistenza. Forse occorrerebbe riflettere su un tema cruciale: non tutto ciò che non capiamo ha bisogno di una diagnosi medica. A volte, ha semplicemente bisogno di un po' di tempo, di pazienza e di una sana dose di buon senso. Finiamola di deprimerci e disperarci per ogni nonnulla, altrimenti, riconosciamo che siamo dei fragili cronici e non dovremmo neanche impegnarci a fare figli, se non siamo in grado di gestire neanche noi stessi!
Riferimento Scientifico:
Fonte: Le Bas G, Aarsman SR, Rogers A, et al. Paternal perinatal depression, anxiety, and stress and child development: a systematic review and meta-analysis. JAMA Pediatr. Pubblicato online 16 giugno 2025. doi:10.1001/jamapediatrics.2025.0880

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