domenica 24 giugno 2012

Bambini iperattivi: come riconoscerli, come curarli alla luce delle nuove terapie



Ne sanno qualche cosa le maestre di quei bambini iperattivi, una condizione clinica definita scientificamente ADHS, ovvero, Attention Deficit Hyperactivity Disorder, ovvero, Sindrome da deficit dell’attenzione e iperattività, condizione questa che si conclama proprio con l’età scolare, ecco perché si citavano le maestre. Ovvio che lo stesso bambino affetto da tale sindrome rappresenta a sua volta un problema serio anche per i genitori.
Pur nella complessità delle cure di tale patologia, una cosa certa c’è, ovvero, tale sindrome è sicuramente genetica e
anche un profano, quando è evidente, può riconoscerla osservando attentamente il bambino che ne è affetto a partire dalla scarsa attenzione che il piccolo ripone alle ore di lezione, attenzione destinata a scadere del tutto se lo stesso le ritiene noiose e comunque prive di interesse personale. Tuttavia, quando a giudizio del bambino, la lezione si fa più interessante o si riesce a svolgere attività che, ad insindacabile giudizio del piccolo alunno risultano più gradevoli, il livello di concentrazione si innalza fino a fargli assumere comportamenti normali, almeno per tutta la durata dell’attività stessa.
In tutti gli altri casi il bambino si distrae, disturba i compagni, non riesce a star fermo, il suo gioco non è mai tranquillo e disciplinato e sovente il gioco è vissuto non come un momento di aggregazione semmai di sopravvento sugli altri e per questo il piccolo diviene fastidioso, a volte irruento, altre volte invadente, irrequieto e per nulla incline al rispetto delle regole, anche se imposte dagli adulti. Un bambino affetto da una tale sindrome, inoltre, è riconoscibile per la consuetudine di non rispettare, davanti ad una domanda che gli viene posta, i tempi di risposta. Tutt’altro, il bambino risponde prima che la domanda sia ultimata anche se non capisce sempre il significato della stessa e dunque costringendo la maestra, ad esempio, a doverla ripetere.

Cosa fare

A parere degli esperti anche nei confronti  dell’ADHD, che oltretutto è una sindrome a trasmissione ereditaria che risente di una importante componente organica a causa di un disequilibrio di due neurotrasmettitori causa di una vera e propria alterazione delle aree cerebrali deputate all’attenzione, all’autocontrollo e alla capacità del singolo di organizzarsi, molto possono fare genitori e corpo insegnante. Soprattutto a quest’ultimo è affidato il compito di riconoscere i sintomi della malattia e riferirli ai genitori affinché possano prendere i provvedimenti del caso.

Ma cos’è l’ADHD

Riprendiamo per intero quanto spiegato da Angela Gaudio, psicologa collaboratrice dell’Associazione Italiana Famiglie ADHD.

L’ADHD è un disturbo del comportamento che colpisce più i maschi delle femmine e si manifesta prima dei sette anni d’età. Può essere caratterizzato solo da disattenzione o solo da iperattività-impulsività, oppure essere di tipo combinato quando sono presenti entrambi i sintomi. La diagnosi non è semplice perché molte manifestazioni di questo disturbo (non stare composti sulle sedie, pensare ad altro durante i compiti...) sono comuni nche a piccoli non ADHD. E’ inoltre da sottolineare che questi bambini hanno quasi sempre un  quoziente intellettivo nella norma, anche se le loro maggiori difficoltà si evidenziano soprattutto in ambito scolastico, dove il loro rendimento è quasi sempre molto scarso.

Per poter fare diagnosi di ADHD, i sintomi devono essere presenti sia in ambito familiare che scolastico. Va ricordato che nei casi in cui sono marcae l’iperattività e l’impulsività rispetto alla disattenzione si arriva prima alla diagnosi, perché la sintomatologia è più evidente.

Il trattamento

Nessun caso di ADHD è uguale all’altro. Solitamente questi bambini vengono inviati presso i Centri specializzati per il trattamento di tale sindrome. Nell’attesa di un intervento mirato, la maestra otterrà di più da un bambino afflitto dal problema se, nelle forme lievi, adotterà una strategia volta a premiare e gratificare il bambino nell’immediatezza di un’azione dallo stesso svolta. Oltretutto tali particolari attenzioni sono utili anche per migliorare il rendimento scolastico del bambino, notoriamente molto scadente.

Ad aiutare tali piccoli pazienti è la psicoterapia e la psichiatria. La prima si avvale di tecniche psicologiche cognitivo-comportamentali che coinvolgono il bambino, i genitori e sovente anche le maestre. Il ricorso alla farmacologia è raro. In America si aprì negli anni passati una feroce polemica per l’uso disinvolto di alcune sostanze somministrate senza troppa attenzione ai bambini. In Italia è assodato che il ricorso ai farmaci, al Metilfenidato, che agisce sulla dopamina, un neurotrasmettitore che entra in gioco nella sindrome, è affidato ad appena un caso su cento, anche perché, a parere degli esperti, la riuscita terapeutica con tale molecola si ha nell’ordine del 70% dei casi trattati. Se però le altre terapie hanno fallito il ricorso ai farmaci diviene conditio sine qua non, anche se l’utilizzo di certe molecole chimiche deve essere effettuato presso Centri di cura specializzati, anche in forza di alcuni effetti collaterali che spesso si manifestano nei bambini in cura, a cominciare dalle turbe del sonno, dalla perdita di peso, dalla comparsa di alcuni tic, comprese eventuali problematiche a carico del fegato. Per non parlare che molti di questi effetti avversi possono verificarsi anche a distanza di tempo dalla sospensione delle cure.  

2 commenti:

  1. sembra che ultimamente l'unica cura possibile per tutto sia la psicoterapia...... non diciamo sciocchezze!!!

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  2. Forse non ha avuto il tempo di leggere il resto dell'articolo, perchè se lo farà capirà bene che non si parla solo di psicoterapia, bensì anche di psichiatria e cura farmacologica, in casi più particolari.

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