Ne sanno qualche cosa le maestre di quei
bambini iperattivi, una condizione clinica definita scientificamente ADHS,
ovvero, Attention Deficit Hyperactivity Disorder, ovvero, Sindrome da deficit
dell’attenzione e iperattività, condizione questa che si conclama proprio con
l’età scolare, ecco perché si citavano le maestre. Ovvio che lo stesso bambino
affetto da tale sindrome rappresenta a sua volta un problema serio anche per i
genitori.
Pur nella complessità delle cure di tale
patologia, una cosa certa c’è, ovvero, tale sindrome è sicuramente genetica e
anche un profano, quando è evidente, può riconoscerla osservando attentamente
il bambino che ne è affetto a partire dalla scarsa attenzione che il piccolo
ripone alle ore di lezione, attenzione destinata a scadere del tutto se lo
stesso le ritiene noiose e comunque prive di interesse personale. Tuttavia,
quando a giudizio del bambino, la lezione si fa più interessante o si riesce a
svolgere attività che, ad insindacabile giudizio del piccolo alunno risultano
più gradevoli, il livello di concentrazione si innalza fino a fargli assumere
comportamenti normali, almeno per tutta la durata dell’attività stessa. In tutti gli altri casi il bambino si
distrae, disturba i compagni, non riesce a star fermo, il suo gioco non è mai
tranquillo e disciplinato e sovente il gioco è vissuto non come un momento di
aggregazione semmai di sopravvento sugli altri e per questo il piccolo diviene
fastidioso, a volte irruento, altre volte invadente, irrequieto e per nulla
incline al rispetto delle regole, anche se imposte dagli adulti. Un bambino
affetto da una tale sindrome, inoltre, è riconoscibile per la consuetudine di
non rispettare, davanti ad una domanda che gli viene posta, i tempi di
risposta. Tutt’altro, il bambino risponde prima che la domanda sia ultimata
anche se non capisce sempre il significato della stessa e dunque costringendo
la maestra, ad esempio, a doverla ripetere.
Cosa
fare
A parere degli esperti anche nei confronti dell’ADHD, che oltretutto è una sindrome a trasmissione ereditaria che risente
di una importante componente organica a causa di un disequilibrio di due
neurotrasmettitori causa di una vera e propria alterazione delle aree cerebrali
deputate all’attenzione, all’autocontrollo e alla capacità del singolo di
organizzarsi, molto possono fare genitori e corpo insegnante. Soprattutto a
quest’ultimo è affidato il compito di riconoscere i sintomi della malattia e
riferirli ai genitori affinché possano prendere i provvedimenti del caso.
Ma
cos’è l’ADHD
Riprendiamo per intero quanto spiegato da
Angela Gaudio, psicologa collaboratrice dell’Associazione Italiana Famiglie
ADHD.
L’ADHD è
un disturbo del comportamento che colpisce più i maschi delle femmine e si
manifesta prima dei sette anni d’età. Può essere caratterizzato solo da
disattenzione o solo da iperattività-impulsività, oppure essere di tipo
combinato quando sono presenti entrambi i sintomi. La diagnosi non è semplice
perché molte manifestazioni di questo disturbo (non stare composti sulle sedie,
pensare ad altro durante i compiti...) sono comuni nche a piccoli non ADHD. E’
inoltre da sottolineare che questi bambini hanno quasi sempre un quoziente intellettivo nella norma, anche se
le loro maggiori difficoltà si evidenziano soprattutto in ambito scolastico,
dove il loro rendimento è quasi sempre molto scarso.
Per
poter fare diagnosi di ADHD, i sintomi devono essere presenti sia in ambito
familiare che scolastico. Va ricordato che nei casi in cui sono marcae
l’iperattività e l’impulsività rispetto alla disattenzione si arriva prima alla
diagnosi, perché la sintomatologia è più evidente.
Il trattamento
Nessun caso di ADHD è uguale all’altro.
Solitamente questi bambini vengono inviati presso i Centri specializzati per il
trattamento di tale sindrome. Nell’attesa di un intervento mirato, la maestra
otterrà di più da un bambino afflitto dal problema se, nelle forme lievi,
adotterà una strategia volta a premiare e gratificare il bambino
nell’immediatezza di un’azione dallo stesso svolta. Oltretutto tali particolari
attenzioni sono utili anche per migliorare il rendimento scolastico del bambino,
notoriamente molto scadente.
Ad aiutare tali piccoli pazienti è la
psicoterapia e la psichiatria. La prima si avvale di tecniche psicologiche
cognitivo-comportamentali che coinvolgono il bambino, i genitori e sovente
anche le maestre. Il ricorso alla farmacologia è raro. In America si aprì negli
anni passati una feroce polemica per l’uso disinvolto di alcune sostanze
somministrate senza troppa attenzione ai bambini. In Italia è assodato che il
ricorso ai farmaci, al Metilfenidato, che agisce sulla dopamina, un
neurotrasmettitore che entra in gioco nella sindrome, è affidato ad appena un
caso su cento, anche perché, a parere degli esperti, la riuscita terapeutica
con tale molecola si ha nell’ordine del 70% dei casi trattati. Se però le altre
terapie hanno fallito il ricorso ai farmaci diviene conditio sine qua non, anche se l’utilizzo di certe molecole
chimiche deve essere effettuato presso Centri di cura specializzati, anche in
forza di alcuni effetti collaterali che spesso si manifestano nei bambini in
cura, a cominciare dalle turbe del sonno, dalla perdita di peso, dalla comparsa
di alcuni tic, comprese eventuali problematiche a carico del fegato. Per non
parlare che molti di questi effetti avversi possono verificarsi anche a
distanza di tempo dalla sospensione delle cure.
sembra che ultimamente l'unica cura possibile per tutto sia la psicoterapia...... non diciamo sciocchezze!!!
RispondiEliminaForse non ha avuto il tempo di leggere il resto dell'articolo, perchè se lo farà capirà bene che non si parla solo di psicoterapia, bensì anche di psichiatria e cura farmacologica, in casi più particolari.
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