Il Morbo di Alzheimer
spaventa sempre di più, anche alla luce del fatto che si sta abbassando
l’età di insorgenza della malattia, visto che dopo i 50 anni le
probabilità che la patologia si faccia strada si è elevata
sensibilmente rispetto al passato. Ne deriva che il mondo scientifico da un po’
di tempo invita i medici a prevedere una serie di controlli accurati su quei pazienti che abbiano sia pure di poco superato i 50 anni d’età anche in assenza di sintomi importanti. Secondo il Dipartimento
di Neuroscienze
dell’Università di Roma Tor Vergata e della Fondazione Santa
Lucia con a capo Giovanni Carlesimo, Andrea Cherubini, Carlo Caltagirone e
Gianfranco Spalletta, dalla valutazione congiunta,
neuroradiologica e neuropsicologica, è emerso che nei soggetti
al di sopra dei 50 anni le basse prestazioni ai test di memoria sono correlate
a significative alterazioni microstrutturali a livello dell’ippocampo, sede dei
danni causati da fattori fisici e chimici ed anche traumi al punto che anche le
momentanee perdite della memoria in questi soggetti ancora giovani, dovrebbe
indurre medici e pazienti ad indagare a fondo sull’integrità delle strutture
dell’ippocampo stesso.
I risultati dello studio
suggeriscono quindi che anche nei soggetti
anziani con prestazioni della memoria ridotte al livello più
basso della soglia di normalità, ma non clinicamente rilevanti, andrebbe
accertata l’eventuale contemporaneità di alterazioni microstrutturali a carico
dell’ippocampo.
Il riscontro di questa associazione tra le due condizioni potrebbe essere
predittiva di un’aumentata suscettibilità a sviluppare la malattia di
Alzheimer. Se la valutazione periodica (per circa tre anni) dei soggetti
inclusi nello studio, attualmente in corso presso la Fondazione Santa
Lucia, confermerà la validità di questa metodologia, potrebbero essere
sviluppate nuove e più precoci terapie
farmacologiche in grado di modificare in modo significativo il
decorso della patologia
neurodegenerativa.
Le novità in tema di
Alzheimer
Oggi la ricerca medica
scientifica si agita non poco in direzione di sempre nuovi presidi
anti-alzheimer in vista di una soluzione finale nei confronti della malattia.
Oggi va facendosi sempre più strada l’eventualità di una sorta di vaccino, non
inteso quale presidio in grado di opporsi alla grave
patologia prevenendola, così come siamo indotti a ritenere pensando ad un vaccino, semmai un inedito farmaco che promette di sciogliere le placche responsabili della malattia di Alzheimer. Tale presidio
va somministrato come vaccino preventivo
ai pazienti più a rischio. Le sperimentazioni della molecola sono iniziate anche
in Italia, all'interno di uno studio internazionale che coinvolge 60 centri in tutto il mondo di cui 4 nel nostro Paese. In Italia il reclutamento dei
pazienti è avvenuto ad opera dell’ospedale MultiMedica di Castellanza.
Tale
studio si inserisce sulla serie di studi analoghi quando si parla del vaccino
contro l’Alzheimer, in grado anche di rallentare la patologia quando in atto. Recenti ricerche per lo
più condotte in Austria avrebbero infatti annunciato la nascita di un vaccino che
agirebbe in tal senso e, una volta perfezionato potrebbe davvero opporsi al il Morbo di Alzheimer in modo
definitivo. Ci riferiamo ad un farmaco sperimentale denominato Ad02 che potrebbe
trovare applicazione pratica nel volgere di un paio di anni. La scoperta di
questo presidio si deve al Gruppo farmaceutico GlaxoSmithKline, nello
specifico coadiuvato da ricercatori di diversi Paesi
della UE,
Italia compresa, della Fondazione Santa Lucia di Roma che hanno sperimentato il
farmaco in soggetti ancora giovani nei quali la malattia aveva fatto la propria
comparsa sia pure in forma lieve, riscontrando nel tempo in essi una fase di
rallentamento dei sintomi, atteso che non è possibile, almeno in questo stadio,
immaginare che il farmaco sradichi del tutto la grave patologia.
A dire di Elio Scarpini, neurologo
dell’Università di Milano,
“il vaccino sarà sia preventivo sia terapeutico e già su modello animale, topi e scimmie per la precisione, ha dimostrato di ridurre in maniera significativa le placche senili che si formano nel cervello e che sono la base della malattia di Alzheimer”.
Al momento l’Ad02 ha brillantemente superato la prima
fase di test risultando, “ben
tollerato” dai volontari che si sono sottoposti alla sperimentazione, non avendo riscontrato in essi significativi effetti collaterali che richiedevano la sospensione della terapia. Il farmaco agirebbe su
quelle placche cerebrali che sono prerogativa del Morbo di Alzheimer ed in
grado di danneggiare, infiammandole, le strutture neuronali del soggetto
affetto dalla malattia. Il farmaco sarebbe in grado di staccare e
demolire tali placche. Che vi sia molta attenzione su questo studio è del
tutto ovvio, se solo si pensa che il Morbo di Alzheimer riguarda qualcosa come
26 milioni di persone ammalate in tutto il mondo ed in Italia ad essere affetti
dal problema sono quasi un milione di pazienti. La malattia
ha un esordio nell’uomo intorno ai 60 anni, ma non mancano i casi che si
palesano con largo anticipo rispetto a quest’età. Così come è da ricordare che le
previsioni future circa il tasso di morbilità di questa patologia sono tutt’altro
che tranquillizzanti, soprattutto alla luce dell’allungamento della vita media
dell’uomo moderno. Si tratta adesso di capire quando sarà possibile vedere
applicazione pratica di questo vaccino;
si parla addirittura di quest'anno, sempre che tale presidio farmacologico superi tutte e tre le
fasi di sperimentazione atte ad assicurarne non solo l’efficacia, ma l’assenza
di quegli effetti collaterali
ritenuti ostativi per un farmaco di nuova immissione sul mercato.
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