Cellule cerebrali compromesse seriamente nei pazienti affetti da Morbo di Parkinson con relativo coinvolgimento dei
neurotrasmettitori come la dopamina che non sono in grado di trasmettere gli
stimoli nervosi come avviene nella normalità e che finisce per determinare il grave
stato clinico che contraddistingue la malattia, Così possiamo sintetizzare in due righe la grave patologia neurologica. Si tratta a questo punto di intravedere nel coinvolgimento di intere strutture e
sostanze a titolo diverso, come possono configurarsi queste come fattori
scatenanti nel Parkinson o aggravanti della malattia quando a questi primi
fattori se ne aggiungono eventualmente altri.
Partendo da questo
ragionamento un gruppo di scienziati del Medical Center della Columbia
University che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista Neuron, hanno spiegato che esisterebbe adesso la speranza di poter trattare
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farmacologicamente il Parkinson al fine di recuperare la funzionalità
compromessa delle cellule, alla luce anche di una nuova scoperta rappresentata
dall’esistenza di una proteina coinvolta nella patologia che avrebbe un proprio
ruolo nell’aggravamento dei sintomi.
Dunque è possibile in questo
modo tracciare le figure che entrano in gioco nel Morbo di Parkinson senza
alcuna approssimazione come accadeva un tempo, figure riconducibili al ruolo
giocato dalla dopamina, dai canali del calcio, dalla morte neuronale e
recentemente dalla scoperta della proteina alfa-sinucleina. Ma basta conoscere questi
tre fattori per spiegare la distruzione cellulare a livello cerebrale per il
ruolo giocato dai singoli componenti che entrano in gioco nella malattia o
possiamo spiegare il tremore, la difficoltà nella deambulazione, con
quell’insieme di fattori che concorrono ad aggravare la malattia? Ancora gli
scienziati si sono chiesti se si può
ancora ritenere che il singolo fattore disgiunto dagli altri esercita un
proprio ruolo nell’esordio del Parkinson e nella sua grave evoluzione, oppure
se affinché avvenga la malattia devono entrare insieme tutti i fattori insieme
che agiscono alla stesso modo potenziandosi gli uni con gli altri. Sono stati proprio questi i
temi trattati dal gruppo di ricercatori americani che sono giunti nella
determinazione che il Parkinson si verifica quando avviene la morte neuronale,
morte che però non va più addebitata al singolo fattore che entra nel
determinare la malattia, ma alla somma dei danni che lo squilibrio di produzione
della dopamina, la scarsa modulazione dei canali del calcio e la stessa
proteina sinucleina esercitano sulla malattia.
Parrebbe insomma assodato
che affinché vengano messe in atto tutte quelle procedure atte a determinare
e/o aggravare la patologia, occorre che si creino quegli squilibri nella
produzione del neutrotrasmettitore dopamina, a causa del danno determinatosi a
livello del canale del calcio, con la conseguenza di andare ad interagire anche
con la proteina alfa-sinucleina, determinando alla fine una reazione “tossica”
i cui residui di scarto non verrebbero adeguatamente smaltiti e che una volta
andatisi ad accumulare nella cellula cerebrale ne provocherebbero la morte. Diviene a questo punto più
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facile comprendere che gli orizzonti terapeutici futuri dovranno mirare all’individuazione di una cura che possa interagire anche su uno solo dei tre
fattori principali che entrano in gioco nel determinare la malattia, in modo da
rompere l’intero legame che porta alla morte neuronale, fatto questo che
sarebbe probabilmente sufficiente per arrestare l’evoluzione del Morbo di
Parkinson.
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