A circa tre anni
dall’autorizzazione da parte dell’AIFA, l’Associazione Italiana del Farmaco, al
trattamento terapeutico a spese del S.S.N. effettuato con Sorafenib, un
chemioterapico antiblastico in grado di contrastare il carcinoma epatocellulare
in fase avanzata, più generalmente indicato come tumore primario al fegato, si
cerca di tracciare l’efficacia di questa moderna sostanza farmacologia alla
luce dei risultati ottenuti.
Occorre dire che prima
dell’uso di Sorafenib l’unica alternativa percorribile per chi fosse affetto da
tumore al fegato era rappresentata dal trapianto dell’organo, oggi, siamo in
grado di stabilire che la sopravvivenza media dei pazienti affetti dalla
neoplasia, senza che si siano sottoposti al trapianto, è aumentata del 44%. Ad oggi sono ben seicentomila
i malati di tumore al fegato in tutto il mondo, in Italia se ne contano oltre
8.500 che possono guardare al futuro con qualche speranza in più, proprio
grazie al Sorafenib in grado di contrastare il tumore inducendo la cellula
neoplastica ad una sorta di suicidio programmato, quello che in medicina si
definisce Apoptosi, situazione questa che, potenzialmente, potrebbe addirittura
arrestare la neoplasia, ma su questo ancora oggi i medici sono cauti.
Ci sono inoltre dei recenti
risvolti su questa molecola farmacologica, inizialmente riservata al tumore al
fegato e successivamente estesa anche ad altre neoplasie, ad esempio nel
carcinoma renale in fase avanzata si è assistito ad una sopravvivenza maggiore
del malato rispetto a quei pazienti che non si sottoponevano all’azione della
sostanza, così come, uno studio effettuato da Ricercatori del Memorial
Sloan-Kettering Cancer Center di New York ( Stati Uniti ), avrebbe stabilito
che somministrando Sorafenib in monoterapia si sarebbe dimostrata una
interessante attività contro l’angiosarcoma, con aumento della sopravvivenza
anche in questo caso, mentre minima è stata l’ attività contro altri sarcomi. (
Xagena )
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