Ormai è acclarato, di stress si può morire! Ovviamente di uno stress
prolungato nel tempo ed evidenziato dai livelli alti di cortisolo nel sangue
che costringono il cuore a pompare di continuo e ad alta frequenza a causa del
continuo rilascio di adrenalina.
Lo stress è la somma dell’ansia accumulata, è una spina irritativa
che sconquassa tutto l’organismo che alla fine “viaggia” sempre su di giri
mettendo a dura prova tutti gli apparati e gli organi. Chi è stressato oltre ad
accusare tachicardia, sudorazione, spesso affanno, ha riverberi anche a livello
dell’apparato gastrointestinale ed assiste anche a quelle che si definiscono
malattie psicosomatiche i cui effetti sugli organi sono assimilabili alle
malattie organiche, una fra tutte, la sindrome del colon irritabile.
Ma se di stress si può
morire, dove traiamo la peggiore forma di stress?
Non è che tutte le forme di stress uccidono, forme lievi e
soprattutto non reiterate nel tempo, addirittura possono pure essere positive
per la salute, in quanto l’organismo riceve delle scosse di tanto in tanto che
gli consentono di tenere alta l’attenzione, far funzionare al meglio il sistema
immunitario e coordinare il lavoro congiunto di tutti gli apparati. Si tratta
di capire quando il passaggio fra lo stress positivo e quello negativo cominci
a farsi nefasto per la stessa vita. Perché se di stress si può morire, quando
l’esito finale non accade, lo stress fa vivere malissimo, accelerando anche i
processi di invecchiamento della persona. Una delle fonti di stress è il
lavoro. Vivere schiacciati in un ambiente di lavoro ostile, fatti oggetto di
mobbing, vivere continue soverchierie da parte del capo e qualche volta dei
colleghi, sottopone l’organismo a livelli di stress intollerabili.
Ma anche quando questo non accade, rapportarsi col proprio lavoro, soprattutto
quando questo si rivolge in maniera diretta col pubblico che dal lavoratore
richiede risposte pronte e precise, pensiamo agli insegnanti, ai medici, agli
infermieri a certi incarichi di governo e via di seguito, il carico di
preoccupazioni e di responsabilità, consci del fatto che ogni propria azione
possa non essere adeguata alle aspettative dell’utenza, crea quella che si
chiama Sindrome del bornout, una serie di sintomi che sfociano nella patologia
e alla base della quale ritroviamo stress conclamato, continuo, costante e con
picchi pericolosi per la stessa vita della persona.
La Sindrome del Bornout come malattia professionale
In francia il prossimo passo è proprio questo, considerare la Sindrome del Burnout una
malattia professionale. L’'ex ministro
socialista Benoît Hamon ha presentato all'Assemblea Nazionale francese un
disegno di legge che la riconoscesse come tale. E Hamon sa di che parla: un
anno fa fu cacciato dal governo perché contrario alla svolta "social
liberale". Fatto fuori, bruciato nelle sue ambizioni, quindi si immagina
sottoposto a notevolissimo stress.
Così
ha presentato tre emendamenti al progetto di legge sul dialogo sociale che si
sta discutendo in Parlamento per riconoscere proprio il burnout: un meccanismo
di stress molto forte a cui sono sottoposti per la natura del loro lavoro
medici, infermieri e chi è a contatto quotidiano con sofferenza e morte, ma
anche, sostiene il politico francese, chi è costretto a lasciare il proprio
lavoro per vessazioni e pressioni indebite di colleghi e superiori.
Attualmente l’incidenza di questa sindrome è nota in Francia, ma la
situazione italiana è ancora più grave. Oltralpe sono almeno 3 milioni e 200 mila persone che ne soffrono, eppure
nel 2013 la Sindrome
del Burnout è stata riconosciuta solamente a 239 dipendenti e per tale ragione
hanno visto riconoscersi il risarcimento e tutti gli altri? Nulla. Riuscendo a
sostenere la Sindrome
come giusta causa di risarcimento, si assisterebbe ad una svolta epocale nelle
cause di lavoro. Dunque Sindrome del Burnout intesa come malattia professionale
passibile di risarcimento danni per la persona offesa quando è provata l’origine
della malattia. Sindacati
d'accordissimo, imprenditori ovviamente contrari: se il burnout fosse riconosciuto
dalla legge come causa di lavoro professionale, dovrebbero accollarsi i
rimborsi, ma anche - spera Hamon- mettere in campo strumenti di lavoro che
impediscano lo stress assassino per i loro dipendenti.
Fonte:
rainews
finalmente qualcuno parla di questo problema
RispondiEliminaGrazie,non sapeo di questa cosa
RispondiEliminaAngelo