Il ‘Posto per il Dolce’: un Inganno Biologico a Danno della Nostra Salute e a vantaggio del Portafoglio del Ristoratore!

 


"Il dolce non si rifiuta" e, novantanove volte su cento, anche dopo un pranzo o una cena pantagruelica, dove sembrerebbe che non riusciamo più a mandare giù neanche un goccio d’acqua, ecco che, come per incanto, voilà… troviamo il posto per un dessert. Di questo ne sanno qualcosa anche i ristoratori che, prima del conto, esordiscono candidamente: "Un amaro, un caffè, un dessert?". Ma come è possibile che accada ciò, se abbiamo appena visto che lo stomaco non sarebbe in grado di accettare altro?

Ce lo dicono i ricercatori del Max Planck Institute for Metabolism Research di Colonia, in Germania, che hanno condotto un apposito studio scientifico, proprio quest’anno, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Science. Secondo gli studiosi, sono le stesse cellule che dovrebbero essere nostre alleate a “complottare” con i ristoratori ingannando il nostro stomaco. Sì, stiamo parlando proprio di “loro”, le cellule che regolano i meccanismi di fame e sazietà. E, attenzione, questo vale per gli uomini, ma anche per gli animali che hanno partecipato allo studio, dove si è visto che le cellule di cui sopra ingannerebbero anche loro!

Gli animali in questione sono i topi che, geneticamente, ci piaccia o no, sono molto simili a noi umani che tanto li disprezziamo. E, proprio i topi, se potessero essere invitati a un banchetto in un ristorante, dopo aver divorato come noi l’inverosimile, alla fine del pasto e, rigorosamente prima del conto, non disdegnerebbero il classico dessert, con panna, con vaniglia, secco o comunque esso sia fatto.

Secondo questo studio, le cellule regolatrici di sazietà e fame andrebbero a interagire con apposite cellule nervose chiamate neuroni POMC (da propiomelanocortina), posti in prossimità dell’ipotalamo e che vengono attivati, incuranti del fatto che siamo sazi. Con un meccanismo a cascata a livello ipotalamico, si assiste al rilascio di speciali sostanze che a loro volta portano al rilascio di beta-endorfine, una sorta di oppioidi naturali che danno piacere e gratificazione. Con un meccanismo complesso, si giunge a una sorta di stimolazione da ricompensa irresistibile, simile, ovviamente con risultati meno drammatici, al consumo di droga. Per farla breve, al nostro organismo non importa nulla se siamo sazi, ma alla sua ricompensa “stupefacente” non intende rinunciare!

A complicare ancora di più le cose e anche questa volta i ristoratori “la sanno lunga in materia” proponendoci un apposito menù per dolci con allettanti fotografie o un carrello che gira per la sala, ci si mette anche la vista. I neuroni POMC, infatti, vengono attivati anche dalla semplice visione del dolce, innescando i meccanismi di cui sopra.

Quindi, l’organismo sembra essere stato studiato ad uso e consumo dei ristoratori? Assolutamente no, se si indaga a fondo ci rendiamo conto che in un’epoca in cui procurarsi il cibo non era una consuetudine di tutti i giorni e la certezza di morire di fame era enorme, la salvezza dell’umanità è avvenuta proprio grazie a questi meccanismi. L’uomo, se si procurava del cibo, sentiva la sazietà, ma a livello ipotalamico si attivava un complesso circuito affinché si procurasse delle scorte per le tante giornate no. Il meccanismo è rimasto, l’esigenza oggi non ci sarebbe più, l’unica cosa che ci apporta è l’aumento di peso e l’aumento delle finanze del ristoratore o del pasticcere di turno.

La scienza, che a volte è una vera e propria guastafeste e che non lascia troppo spazio a quanto di istintivo c’è rimasto, ci ha messo lo zampino. Come? Con dei farmaci, come l'Ozempic (semaglutide) che non si limitano a combattere il diabete, ma agiscono proprio sul nostro cervello. Questi farmaci, chiamati agonisti del recettore GLP-1, imitano un ormone che il nostro corpo produce naturalmente quando mangiamo. In pratica, inviano un segnale potentissimo al nostro cervello, dicendogli: "Basta, sei sazio!" in modo molto più efficace e persuasivo.

In questo modo, interferiscono con quel desiderio irresistibile di ricompensa che ci spinge a prendere il dolce. Ci aiutano a resistere alla tentazione di quel carrello dei dessert, disinnescando la trappola biologica che esisteva dalla notte dei tempi. È come se spegnessero la nostra "ricerca delle scorte" forzandoci a dire "no, grazie", al dolce.

Ma, come ogni soluzione che viene da un laboratorio, anche questa ha il suo lato oscuro. Questo 'spegnimento' del desiderio ha un costo: spesso si manifesta con nausea, mal di stomaco e altri fastidi, con l'uso  del farmaco, che ci ricordano che il nostro corpo non ama essere bypassato. Certo, questi fastidi passano con l'abbandono della molecola, ma in quel caso torniamo a farci sedurre dal dessert. Ma, soprattutto, la scienza è onesta quando ci ricorda che, se smetti di prendere il farmaco, l'effetto svanisce e la vecchia abitudine torna, perché il meccanismo non è stato curato alla radice, ma solo momentaneamente silenziato. Insomma, è una stampella, non un piede nuovo. Sembra che a questo nostro organismo non piaccia essere comandato a bacchetta."




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