Siamo abituati a sentir parlare di continue vittorie nella lotta al cancro, ma se guardiamo i fatti, nudi e crudi, qualcosa non torna. Ho provato a mettere insieme alcuni dati e il primo schiaffo alla narrativa ufficiale arriva dalla mortalità globale: le cifre, lungi dal diminuire, ci urlano una realtà più complessa e, per certi versi, sconcertante. Il dato allarmante è che nel mondo si ammalano quasi 15 milioni di persone ogni anno. Dati: Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO), reperiti da: Global Cancer Observatory (GLOBOCAN) e altri database. Per capirci meglio, è come se ogni anno una nazione grande come i Paesi Bassi (17,5 milioni di abitanti) si ammalasse quasi tutta di cancro.
La prima domanda nasce spontanea: Ma non ci avevano detto che grazie alla ricerca scientifica i morti di cancro erano in costante diminuzione? Forse abbiamo capito male!
Certo, si risponderà, ma la vita media è aumentata, è normale imbattersi in dieci anni in più morti di cancro. Ma se andiamo a vedere questo dato, notiamo che è vero che è aumentata la vita media negli ultimi dieci anni sia nel mondo che in Italia, ma è un aumento che non giustifica un incremento così spaventoso dei decessi.
Vita media dell'uomo nel 2014:
A livello globale (media mondiale, dati OMS 2014, riferiti al 2012): circa 68 anni.
In Italia (dati ISTAT 2014, riferiti al 2014): circa 80,2 anni.
Vita media dell'uomo nel 2024 (stime ISTAT):
In Italia: La speranza di vita alla nascita nel 2024 è stimata a 81,4 anni per gli uomini.
A livello globale: Secondo stime delle Nazioni Unite, la speranza di vita media globale nel 2024 è di circa 73 anni.
Oppure si potrebbe rispondere: "Sì, si muore di più perché si fanno più diagnosi". Una risposta che sembra scapestrata e lo è: a cosa servono diagnosi e screening più capillari se poi il numero di morti rimane lo stesso, o addirittura cresce?
Se andiamo invece a vedere il tumore nella donna scopriamo un dato veramente inquietante. Il tumore alla mammella nella donna rappresenta la prima causa di morte per tumore. Ecco i dati:
Secondo le stime più recenti dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), attraverso il loro database GLOBOCAN:
Nel 2022, il tumore alla mammella ha causato circa 669.263 decessi a livello globale. Questo rende il tumore alla mammella la prima causa di morte per cancro tra le donne nel mondo.
Dati in Italia: Per l'Italia, ci affidiamo ai dati più recenti forniti da fonti come l'Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) in collaborazione con l'AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e l'ISTAT.
Nel 2023 (con dati riferiti all'anno precedente o proiezioni), in Italia si sono registrati circa 12.900 decessi per tumore alla mammella.
Un dato spaventoso, ma ecco un dato che ci fa riflettere ancor di più: cosa accadeva 10 e 12 anni fa nel mondo e in Italia?
Decessi per tumore alla mammella (stime riferite al 2014):
A livello globale: Secondo i dati di GLOBOCAN 2012 (della IARC/OMS), che rappresentavano le stime più recenti disponibili in quel periodo e che erano spesso citati nel 2014 per l'anno 2012, il tumore al seno ha causato circa 464.000 decessi femminili nel mondo.
In Italia: Per quanto riguarda l'Italia, le stime sui decessi per tumore alla mammella nel 2014 (o riferite a quell'anno) si aggiravano intorno ai 12.000 decessi.
Confrontando questi dati con quelli più recenti (669.263 decessi globali nel 2022 e 12.900 decessi in Italia nel 2023), si nota un aumento nel numero assoluto di decessi a livello globale. Anche in Italia si assiste a un aumento di morti, ma più contenuto rispetto al resto del mondo.
Ma sbaglio o si assiste a una maggiore sensibilizzazione in fatto di diagnosi precoce, mammografie, ecografie, proprio per sensibilizzare la donna su questo problema e giungere a diagnosi sempre più precoci? Purtroppo il dato non è aggiornatissimo, infatti ci riferiamo al 2022, ma già da questo dato fornitoci dall'Osservatorio Nazionale Screening (ONS), che si riferisce all'attività svolta nel 2022, osserviamo come nell'ambito dei programmi di screening mammografico organizzati in Italia, sono state invitate circa 4,3 milioni di donne e sono state eseguite circa 2,7 milioni di mammografie. Questo numero si riferisce specificamente alle mammografie di screening primario, ovvero quelle offerte gratuitamente alla popolazione femminile nella fascia d'età definita dai programmi regionali (solitamente 50-69/74 anni), con cadenza biennale.
Ma cosa accadeva una decina di anni fa? Basandosi su report e statistiche di quel periodo, il numero di mammografie eseguite nell'ambito dello screening organizzato in Italia per quegli anni (ad esempio, tra il 2013 e il 2014) si attestava probabilmente intorno ai 2 - 2,5 milioni all'anno. È importante sottolineare che la copertura dei programmi di screening è aumentata progressivamente nel corso degli anni in molte regioni, quindi un numero inferiore rispetto ai 2,7 milioni del 2022 è atteso per il periodo 2013-2014.
Se poi andiamo a guardare i dati di mortalità riferiti a un intervallo storico di 10 anni vediamo quanto segue:
Decessi per tumore alla mammella in Italia nel 2023: il dato per il 2023 è una proiezione/stima basata sulle tendenze e non ancora un dato ufficiale consolidato (che richiede più tempo per la raccolta e l'analisi). La stima più citata è di circa 12.900 decessi.
Decessi per tumore alla mammella in Italia nel 2013: report ISTAT o AIRTUM di quell'epoca. Le statistiche consolidate per il 2013 indicano che i decessi per tumore alla mammella in Italia si attestavano intorno ai 12.000 decessi.
Quindi, riassumendo:
2013: Circa 12.000 decessi (dato consolidato).
2023: Circa 12.900 decessi (stima/proiezione).
È indubbio che negli ultimi dieci anni (dal 2014-2015 ad oggi) ci sia stata una maggiore sensibilizzazione sulla diagnosi precoce del tumore alla mammella.
Questi altri dati, invece, non quantificabili con un numero preciso, semmai come tendenza ampiamente riconosciuta e osservabile attraverso vari indicatori, ci mostrano che:
Campagne di comunicazione: Sia a livello istituzionale (Ministero della Salute, Regioni) che da parte di associazioni importanti (AIRC, LILT, Susan G. Komen Italia, Europa Donna, etc.) sono state intensificate le campagne informative e di sensibilizzazione sull'importanza della prevenzione e della diagnosi precoce. Ottobre Rosa, ad esempio, è diventato un mese simbolo globale per questa causa.
Aumento della copertura mediatica: C'è stata una crescente attenzione dei media (televisione, giornali, online) sul tema del tumore al seno, con interviste a specialisti, testimonianze di pazienti e diffusione di informazioni sugli screening.
Ruolo dei social media e dei blog: Piattaforme online e blog hanno avuto un impatto significativo nel diffondere la consapevolezza e nel rendere le informazioni più accessibili a un pubblico vasto.
Evoluzione delle linee guida e disponibilità di esami: La maggiore conoscenza scientifica ha portato a linee guida più precise e alla disponibilità di tecnologie diagnostiche più sofisticate, che a loro volta alimentano la discussione e la consapevolezza.
Maggiore coinvolgimento dei medici di base: I medici di medicina generale e i ginecologi sono sempre più attivi nel promuovere gli screening e la corretta informazione.
Bene, a fronte di una maggiore sensibilizzazione l'unica cosa certa è che il tumore al seno è la prima causa di morte nella donna e che il numero di morti per tumore al seno, in Italia, è cresciuto, sia pure di poco, negli ultimi dieci anni, gli ultimi presi a riferimento.
Ma ora vediamo un altro aspetto quando parliamo di cancro.
La Forza Economica delle Big Pharma e la Ricerca
Ecco una lista di paesi il cui PIL nominale (stimato per il 2023 o 2024, dati più recenti disponibili) è superiore a 600 miliardi di dollari:
Stati Uniti: $27.721 trilioni
(ben oltre, il PIL più grande del mondo)
Cina: $17.795 trilioni
Germania: $4.526 trilioni
Giappone: $4.204 trilioni
India: $3.568 trilioni
Regno Unito: $3.381 trilioni
Francia: $3.052 trilioni
Italia: $2.301 trilioni (siamo qui!)
Brasile: $2.174 trilioni
Canada: $2.142 trilioni
Russia: $2.021 trilioni
Messico: $1.789 trilioni
Australia: $1.728 trilioni
Corea del Sud: $1.713 trilioni
Spagna: $1.620 trilioni
Indonesia: $1.371 trilioni
Paesi Bassi: $1.154 trilioni
Turchia: $1.118 trilioni
Arabia Saudita: $1.068 trilioni
Svizzera: $884.94 miliardi
Polonia: $809.201 miliardi
Argentina: $646.075 miliardi
Belgio: $644.783 miliardi
Al 24° posto possiamo tranquillamente non inserire alcun Paese del mondo, possiamo invece inserire il fatturato delle Big Pharma che è pari a oltre 600 miliardi di dollari.
Si stima che il fatturato delle prime aziende farmaceutiche al mondo sia complessivo e non riferito a una singola molecola. E se parliamo di cancro, non a un singolo farmaco oncologico. Però, grosso modo, sappiamo che prendendo in esame le prime 15/20 aziende farmaceutiche più grandi al mondo, la stima di queste nello sviluppo e ricerca oncologica è probabilmente tra i 25 e i 45 miliardi di dollari nella ricerca e sviluppo di nuove terapie oncologiche.
Adesso vediamo cosa spendono in marketing le stesse aziende e scopriamo che, le prime 15-20 Big Pharma spendono collettivamente e molto probabilmente, tra i 120 e i 210 miliardi di dollari in marketing e attività commerciali. Questo dato è un'indicazione della vasta portata delle loro operazioni commerciali a livello globale.
Quindi, possiamo dire che le Big Pharma spendono in marketing e attività commerciali una cifra che è spesso superiore, e in alcuni casi può arrivare a essere quasi il doppio, rispetto a quanto investono in R&D.
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"Il grafico qui sopra, basato su dati del 2012, mostra una ripartizione della spesa per il marketing farmaceutico. Anche se i dati sono relativi a un decennio fa, la tendenza a spendere molto più in promozione che in ricerca è ancora estremamente rilevante."
Per la precisione, ecco le aree di marketing:
Fase del ciclo di vita del farmaco: Le spese di marketing sono molto più alte per i farmaci appena lanciati (per creare consapevolezza e quota di mercato) e tendono a diminuire quando il farmaco si avvicina alla scadenza del brevetto o quando diventa generico. In questo caso esistono altre strategie per rendere evergreen il farmaco che sta per diventare un generico, ma questa è un'altra storia!
Area terapeutica: Alcune aree, es. malattie croniche ad alta prevalenza, o farmaci specialistici con forte concorrenza possono richiedere investimenti di marketing più elevati. L'oncologia, ad esempio, pur essendo un'area di punta per l'R&D, ha anche costi di marketing elevati per raggiungere specialisti e centri oncologici.
Regolamentazione: Le normative sulla pubblicità farmaceutica variano molto da paese a paese. Negli Stati Uniti, ad esempio, è consentita la pubblicità diretta al consumatore (Direct-to-Consumer advertising - DTC), il che aumenta significativamente i costi rispetto a paesi come l'Italia o la maggior parte dell'Europa, dove la DTC è limitata o vietata per i farmaci soggetti a prescrizione.
Strategia aziendale: Ogni azienda ha una propria strategia. Alcune puntano più sulla forza vendita diretta, altre su congressi scientifici, pubblicazioni, marketing digitale, ecc.
Quindi notiamo che la percentuale riservata al marketing da parte delle big pharma non ha pari con altre aziende di altri settori, infatti vediamo cosa investono in marketing aziende appartenenti ad altri settori, che devono confrontarsi con una concorrenza quanto mai agguerrita.
Quando i Prodotti Non Funzionano: Il Parallelo Automotive
Cosa fa una grande azienda di fronte a insuccessi gravi e continuati? Il parallelo con l'industria automobilistica, anche se impietoso, è illuminante.
Immagina una casa automobilistica che lancia un modello con un grave difetto di sicurezza nel 2014 e, dieci anni dopo, nonostante modifiche significative, riscontra che il problema persiste con la stessa incidenza. Cosa succederebbe?
La casa sarebbe costretta a un richiamo massivo, sospenderebbe immediatamente la produzione e la vendita, avvierebbe indagini interne approfondite e subirebbe un disastro reputazionale, legale e finanziario. Il top management verrebbe probabilmente sostituito. Nessuna azienda può permettersi di ignorare problemi di sicurezza così gravi, né per obbligo etico, né per la sopravvivenza stessa del business.
Non c'è altro da aggiungere... o forse sì.
La Ricerca tra Pubblico e Privato: Quanta Indipendenza?
Ma forse sì, c'è da aggiungere altro! La ricerca in campo oncologico e non solo è tutta in mano alle Big Pharma e a tutto il seguito che si portano appresso. Immaginare che esista una ricerca diciamo "libera" è quasi utopico, perché se anche questa fosse quantizzata nel 10% della ricerca complessiva, ci accorgiamo che, ad esempio, anche il 5 per mille segue una strada che riconduce alle stesse Big Pharma. Molti centri di eccellenza, pur avendo finanziamenti pubblici e privati (compreso il 5 per mille), mantengono rapporti di collaborazione con l'industria, che sono spesso necessari per l'avanzamento della ricerca, ma che richiedono meccanismi di trasparenza e prevenzione dei conflitti di interesse. Cosa resta? Ma certo, si dirà, il ruolo di una Casa farmaceutica in un settore tanto delicato come quello oncologico viene attentamente monitorato e attenzionato a partire dai Comitati Etici. Vediamo quanto di etico c'è in questi Comitati:
Le Sfide Nascoste dei Comitati Etici: Parliamone Chiaro
I Comitati Etici (CE) sono essenziali: sono la nostra garanzia che la ricerca medica sia sicura e rispettosa delle persone. Ma, come ogni sistema, anche loro hanno le loro spine, problemi che è giusto conoscere e di cui si parla spesso a porte chiuse. Non sono accuse, ma punti critici che il sistema stesso sta cercando di migliorare, o almeno si spererebbe.
Cosa si Dice e Perché e Senza Troppi Giri di Parole
Ecco le preoccupazioni più comuni, quelle che a volte ci fanno dubitare dell'indipendenza totale di questi comitati:
Interessi che Si Incrociano: A volte, chi fa parte di un Comitato Etico potrebbe avere dei legami (magari finanziari o professionali) con le aziende farmaceutiche che finanziano gli studi, o addirittura con i ricercatori stessi. Se questi legami non sono chiari o ben gestiti, l'imparzialità delle decisioni può vacillare. Non siamo noi a dirlo, ma è una preoccupazione che viene studiata e discussa nelle riviste di settore e nelle linee guida internazionali sull'etica della ricerca.
Chi Paga pretende?: Se un Comitato Etico riceve fondi o dipende economicamente dalle stesse aziende o istituzioni che hanno interesse a far approvare la ricerca, la sua autonomia può essere compromessa. Immagina se l'arbitro di una partita fosse pagato da una delle due squadre... il dubbio sull'imparzialità sorgerebbe spontaneo, no?
Poche Voci, Una Sola Visione?: A volte, la composizione di questi comitati potrebbe non essere abbastanza varia. Se mancano esperti di legge, persone che si occupano specificamente di etica (e non solo medici), o soprattutto veri rappresentanti dei pazienti, si rischia di avere una visione troppo limitata e di non considerare tutti gli aspetti cruciali di uno studio.
Troppa Omertà nei Processi?: Quando le decisioni dei Comitati Etici non sono del tutto trasparenti – ad esempio, non si capiscono bene i motivi di un'approvazione o di un rifiuto – il sospetto può crescere. La mancanza di chiarezza alimenta le domande e può far dubitare dell'integrità del processo.
Il Rischio del "Timbro": È una percezione, ma a volte i Comitati Etici possono sembrare dei semplici "timbri", che approvano quasi automaticamente gli studi senza un'analisi approfondita. Questo succede se c'è molta pressione per far andare avanti la ricerca o se i comitati sono oberati di lavoro. È un rischio che la stessa comunità scientifica riconosce.
Il Gigante (Industria) Fa Pressione: Le aziende farmaceutiche, come abbiamo visto, hanno un potere economico immenso. La loro esigenza di far approvare velocemente nuovi farmaci può generare una pressione enorme. I Comitati Etici, purtroppo, sono davvero immuni a queste influenze o devono essere fortissimi per resistere?
Perché è Importante Parlarne
Evidenziare queste sfide non è un attacco ai Comitati Etici, che fanno un lavoro fondamentale. È un modo per chiedere più trasparenza, più indipendenza e più risorse per questi organismi. Solo così possiamo essere davvero sicuri che la ricerca che ci promette nuove cure sia etica, sicura e libera da condizionamenti.
Le problematiche qui descritte sono oggetto di numerosi studi scientifici e dibattiti internazionali sull'etica della ricerca e sono discusse anche da enti regolatori come l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA). Sono critiche consolidate: Il concetto di "revolving door" tra agenzie regolatorie e industria, e la questione delle "user fees" (tasse pagate dalle aziende alla FDA per la revisione dei farmaci), sono esempi classici di problematiche strutturali e di conflitto d'interessi che vengono studiati e discussi apertamente da decenni. Organizzazioni non governative, think tank, accademici e giornalisti investigativi pubblicano regolarmente rapporti su questi temi.
I Medici tra Protocolli e Libertà Clinica
Poi si apre un altro importante aspetto di galileiana memoria che riguarda i medici.
Protocolli Sanitari e Linee Guida:
Lo scopo: I protocolli e le linee guida sono nati con l'intento di garantire una standardizzazione delle cure basata sulle migliori evidenze scientifiche disponibili (Evidence-Based Medicine - EBM). Dovrebbero assicurare che tutti i pazienti ricevano trattamenti efficaci e sicuri, riducendo le disparità di cura.
La criticità: In pratica, possono diventare strumenti rigidi che limitano il giudizio clinico individuale. Se un medico ritiene, in base alla sua esperienza o a nuove evidenze non ancora integrate nei protocolli, che un approccio diverso sia più adatto per il singolo paziente, può trovarsi in difficoltà.
Ordine dei Medici e Sanzioni Disciplinari:
Lo scopo: Gli Ordini professionali hanno il compito di tutelare il decoro della professione e vigilare sul rispetto del codice deontologico. Questo include il rispetto delle linee guida e dei protocolli riconosciuti.
La criticità: Se un medico si discosta significativamente dai protocolli "ufficiali", può essere accusato di negligenza, imprudenza o imperizia, rischiando sanzioni disciplinari che vanno dall'ammonimento alla sospensione, fino alla radiazione. Questo crea un forte disincentivo a sperimentare approcci innovativi o a criticare apertamente lo status quo.
Responsabilità Legale e Assicurazioni:
Lo scopo: I protocolli servono anche a "proteggere" il medico in caso di contenzioso legale. Se segue il protocollo, è più difficile imputargli colpe.
La criticità: Questa "protezione" può trasformarsi in una gabbia. Il timore di essere citato in giudizio o di perdere la copertura assicurativa (che spesso richiede il rispetto dei protocolli) spinge i medici a un'aderenza quasi dogmatica, anche quando sentono che non sia la migliore soluzione per il paziente.
Sistema Ospedaliero/Assunzioni:
Lo scopo: Le strutture sanitarie (ospedali, ASL) hanno l'esigenza di standardizzare i trattamenti per efficienza, gestione dei costi e controllo qualità.
La criticità: Un medico dipendente può subire pressioni dirette o indirette per conformarsi alle politiche interne, che potrebbero privilegiare determinati farmaci o trattamenti (a volte per accordi con case farmaceutiche o fornitori) o scoraggiare percorsi non "standardizzati" che potrebbero rallentare il sistema o costare di più. La carriera può dipendere dall'aderenza a queste logiche.
La Conclusione Amara
Quindi, sì, è una realtà: molti medici si sentono intrappolati tra il giuramento di Ippocrate (che dovrebbe spingerli a fare il meglio per il singolo paziente) e la necessità di conformarsi a un sistema che limita la loro autonomia professionale e intellettuale. Questo può portare a un fenomeno di "pensiero unico" in cui le opinioni dissenzienti o le ricerche alternative faticano a emergere o vengono attivamente scoraggiate, dai "trionfalismi" dell'oncologia o il ruolo delle Big Pharma.
Stagnazione dell'Innovazione e dell'Approccio Clinico: Se i medici sono costretti a seguire protocolli rigidi, c'è meno spazio per l'innovazione dal basso, per l'esplorazione di nuove terapie o approcci che non rientrano nelle linee guida consolidate. Questo può rallentare l'adozione di scoperte emergenti o la personalizzazione delle cure, che è sempre più riconosciuta come fondamentale in medicina. Un medico che nota un'efficacia in un trattamento meno convenzionale, ma non può applicarlo o discuterlo, non solo limita il potenziale beneficio per il paziente, ma frena anche l'avanzamento delle conoscenze.
Perdita di Flessibilità e Personalizzazione della Cura: Ogni paziente è unico. Quello che funziona per la "media" dei pazienti nei protocolli potrebbe non essere l'ideale per il singolo individuo, a causa di comorbidità, risposte individuali ai farmaci o preferenze personali. Se il medico non può deviare dai protocolli, la cura rischia di diventare meccanicistica e meno "centrata sul paziente", trasformando il medico in un mero esecutore.
Danneggiamento della Fiducia e della Relazione Medico-Paziente: I pazienti cercano nel medico una guida autorevole e fidata. Se percepiscono che il medico è solo un portavoce di protocolli standardizzati, senza possibilità di un vero giudizio indipendente, la fiducia può erodersi. Questo può spingere i pazienti a cercare soluzioni altrove...
Influenza Indiretta dell'Industria: Quando i protocolli sono fortemente influenzati da studi finanziati dall'industria (che, come abbiamo visto, spende molto in marketing e lobbying) e i medici sono obbligati a seguirli, si crea un canale indiretto attraverso cui gli interessi commerciali possono dominare la pratica clinica, anche senza un diretto "acquisto" del medico. I farmaci più pubblicizzati o più redditizi possono finire per essere prescritti più frequentemente, indipendentemente dal loro reale vantaggio comparativo in ogni singolo caso.
Frustrazione e Burnout Professionale per i Medici: Essere un medico è una vocazione che richiede giudizio, empatia e continua ricerca del miglioramento. Essere vincolati da protocolli inflessibili può portare a una profonda frustrazione, una sensazione di impotenza e persino al burnout, poiché il professionista si vede privato di una parte essenziale della sua autonomia e capacità di curare al meglio.
La Necessità di un Equilibrio
È cruciale trovare un equilibrio tra la standardizzazione basata sull'evidenza, che ha i suoi meriti per garantire una base di qualità e sicurezza e la libertà clinica. I protocolli dovrebbero essere guide, non gabbie, che lascino spazio al giudizio clinico, alla ricerca continua e alla discussione scientifica aperta, anche quando questa mette in discussione lo status quo.
CONCLUSIONE
Avrei voluto parlare di studi, ovviamente non del tutto riconosciuti e come si può sperare che vengano riconosciuti… Che invece potrebbero magari aiutare una ricerca scientifica più libera e che nonostante i limiti rappresentati dalla scarsa divulgazione cui viene loro data, danno risultati incoraggianti nella lotta ai tumori. Ma forse è meglio fermarsi qui. Mi viene solo da fare o farmi una domanda: è davvero questa la strada per affrancarci da questa temibile malattia? Siamo sicuri che chi muove le fila di questi interessi abbia in animo veramente il desiderio di sconfiggere il cancro? Oppure, mantenere lo status quo sia più conveniente di una rapida soluzione? A me e voi la risposta!


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