Non rutti? Tranquillo, non sei malato... a meno che...

 

C’è un detto popolare che suona così: “Se non rutti sei malato”. Nessuna paura, non scriviamo cose in contrapposizione col bon ton, semmai per entrare nel vivo di un aspetto medico. Premesso ciò, sappiamo tutti che l’essere civili, educati, raffinati, stride con l’animale che è in noi.

Se per un cane, dopo aver mangiato fino a scoppiare, un rutto liberatorio è visto persino come una cosa buffa e divertente, la stessa cosa, esportata al genere umano, è considerata un segno di inciviltà e maleducazione. Ovviamente questo non è un invito a lasciarsi andare ad atteggiamenti animaleschi, ma forse noi avremmo più ragioni dei nostri cagnolini per ruttare. Non foss’altro che per il fatto che, oltre a mangiare, ci deliziamo con acqua frizzante a volte frizzantissima, bibite gassate, a volte completiamo il pasto con qualche bicchierino di troppo, il tutto condito con una buona dose di stress che ci accompagna come un angelo custode. Se pensiamo al nostro stomaco e al nostro intestino in quelle condizioni, c’è solo da ruttare. Eppure, evitiamo, spinti dal rigido galateo che regola la nostra vita.

Ma qui la domanda è un’altra: se dopo un pasto pantagruelico non solo non rutto, ma non ho neanche lontanamente l’esigenza di farlo, significa che qualcosa nel mio digerente non funziona, oppure posso stare tranquillo e continuare a sentirmi sano?

Il Rutto: un Meccanismo Fisiologico

Il rutto è un meccanismo naturale. Tutti noi, mentre mangiamo, beviamo o parliamo, ingeriamo aria. Quest'aria in eccesso deve essere espulsa e, in condizioni normali, lo facciamo ruttando. Se non lo facciamo, il gas si accumula, creando gonfiore, dolore e fastidiosi gorgoglii.

Cominciamo col dire che, fermo il fatto che le condizioni della nostra vita riempiono la nostra “pancia” come un pallone, un organismo sano solitamente neutralizza i gas intestinali e, quando non lo fa, è possibile rimediare anche con farmaci o altre sostanze di origine naturale.

La Malattia del non-ruttare: la R-CPD

Ma l’incapacità di ruttare, non tanto perché non ce ne sia bisogno, ma perché non si ha la forza di farlo, può essere considerata una malattia? Oggi, la scienza sembrerebbe rispondere di sì. Poiché a regolare il meccanismo del rutto sono una serie di muscoli, immaginiamo tale impossibilità come un calciatore che, giunto davanti all’area avversaria, a porta vuota, nel momento in cui deve tirare l’ultimo calcio al pallone, non avesse la forza muscolare per farlo, e gli viene impedito il gol decisivo. Con la giusta dose di immaginazione è ciò che capita nella Disfunzione Cricofaringea Retrograda (R-CPD), nota anche come la “sindrome del non-ruttare”. È una condizione di recente scoperta, ma che ha già reso la vita difficile a molte persone.

Il problema risiede in un piccolo muscolo chiamato cricofaringeo, situato all’ingresso dell’esofago. Questo muscolo si rilassa per far passare il cibo, ma nelle persone con R-CPD non si apre per far uscire l’aria. Il risultato è un accumulo di gas che, oltre a gonfiore e dolore, può provocare gorgoglii imbarazzanti, flatulenza eccessiva e persino nausea.

Per anni, chi soffriva di questa condizione riceveva diagnosi sbagliate, come reflusso acido o sindrome dell’intestino irritabile. Fortunatamente, oggi la consapevolezza sta crescendo e il problema ha un nome e una soluzione: un’iniezione di Botox che, rilassando il muscolo, permette di riprendere a ruttare normalmente, spesso in modo permanente. ATTENZIONE: Ruttare in modo permanente non significa ruttare dalla mattina alla sera, significa restituire semplicemente la capacità di farlo quando serve, alla stregua di chi sta bene, riottenendo una funzione corporea naturale.  

In Conclusione

In conclusione, se non rutti, non preoccuparti. Ma se il mancato rutto è accompagnato da gonfiore, gorgoglii e dolore, potresti aver scoperto che quel piccolo detto popolare aveva un fondo di verità.

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