Una patologia di pertinenza oculistica tutt’altro che trascurabile la retinite pigmentosa, anzi, possiamo anche definirla una malattia grave e in parte incurabile, stante il fatto che oggi la scienza è di fatto impotente nei confronti dell’evoluzione di tale malattia per la quale fino adesso non è prevista nessuna cura per arrestarla, semmai, per ritardarne gli effetti.
Il risultato è che il soggetto che sia affetto da retinite pigmentosa, dopo aver assistito ad un peggioramento galoppante della propria visione, prima manifestatasi con la constatazione di non vedere più bene quando le condizioni di luce esterna sono più basse, per poi constatare come la vista si sia ridotta con un campo visivo del tipo considerato a cannocchiale, ovvero, con un restringimento evidente di ciò che mette a fuoco, come se si guardasse dentro le lenti di un cannocchiale, appunto, finisce per giungere alla semi o, addirittura, totale cecità.
L’origine della malattia è per lo più genetica e causata da diverse mutazioni genetiche e si giunge alla diagnosi, proprio quando il paziente riferisce i sintomi che accusa, appunto, la cecità crepuscolare, emeralopia, il momento in cui non riesce a vedere bene al crepuscolo e la riduzione del campo visivo come sopra accennato. L’elettroretinogramma, un sofisticato esame oculistico, serve sicuramente per la diagnosi definitiva da parte dell’oculista.
Per quanto attiene il trattamento terapeutico fino oggi, ci si limita a somministrare a tali pazienti vitamina A che pare detenere il ruolo atto a rallentare il decorso più grave della patologia stessa. Tuttavia pare aprirsi uno spiraglio per questi pazienti, come ci dimostra uno studio condotto da ricercatori della Columbia University di NY che avrebbero individuato nelle cellule staminali una possibile soluzione al problema. Ricordiamo che il campo di applicazione delle cellule staminali, anche in altri ambiti e per altre patologie, sembra sempre di più foriero di grandi soddisfazioni terapeutiche.
Con l’aiuto di tale cellule sarà infatti possibile sostituire e ricostituire l’intera retina distrutta dalla malattia. Le cellule staminali utilizzate sarebbero di tipo embrionale e per questo non differenziate, semmai costrette, una volta impiantate nel tessuto che si vuole riparare, a differenziarsi in sito. Gli studi sperimentali fino adesso attuati farebbero pensare a un futuro positivo per i malati di retinite pigmentosa. Dunque, sicuramente una buona notizia per quei pazienti affetti da tale grave patologia, una malattia che si presenta col suo carico di sofferenze in almeno un milione e mezzo di pazienti che con tale patologia oculistica devono fare i conti tutti i giorni.

VORREI SAPERE SE LE STESSE CURE POSSONO ESSERE VALIDE ANCHE PER LA SINDROME DI USHER.
RispondiEliminaVI RINGRAZIO ANTICIPATAMENTE.