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La situazione dal 2012 a oggi: cosa è cambiato?
Nel 2012, l'allora Ministro Riccardi parlava di divieto di pubblicità, riconoscendo il gioco d'azzardo come causa di "drammi sociali". Oggi, quella proposta è diventata realtà, almeno in parte. Il Decreto Dignità del 2018 ha introdotto un divieto quasi totale di pubblicità per giochi e scommesse con vincite in denaro, una misura molto discussa ma necessaria per contrastare la diffusione del fenomeno.
Nonostante il divieto di pubblicità, i numeri del settore sono esplosi. Nel 2011, il fatturato legale era stimato in 76 miliardi di euro. Le ultime rilevazioni (pre-Covid) parlavano di un fatturato di oltre 110 miliardi di euro (dati del 2019, fonte Agimeg) e le stime attuali lo portano ancora più in alto. La spesa media per persona, che nel 2011 era di circa 1.260 euro, è salita fino a 2.000 euro annuali o più, considerando anche l'incremento di giocatori. Questo dimostra che, sebbene la pubblicità sia stata limitata, il mercato ha continuato a prosperare, soprattutto grazie al gioco online, che ha visto un'impennata negli ultimi anni, in particolare durante la pandemia. Ritenendo pertanto il gioco d'azzardo al pari se non di più, di una vera e propria dipendenza da parte del giocatore.
L'identikit del giocatore patologico di oggi
Se nel 2012 si stimavano circa 800.000 persone dipendenti dal gioco e 2 milioni a rischio, oggi i dati sono molto più allarmanti. Il fenomeno della ludopatia, o più correttamente Disturbo da Gioco d'Azzardo (DGA), è in forte crescita. Studi recenti indicano che i giocatori patologici in Italia sono più di un milione, con una fascia di popolazione a rischio che si estende a oltre 3 milioni. La spesa media di un giocatore patologico può superare di gran lunga i 10-12 mila euro di debito citati nel 2012, arrivando a cifre impressionanti che mandano in rovina intere famiglie.
Il profilo del giocatore è cambiato, ma le categorie più vulnerabili rimangono le stesse: giovani, disoccupati, anziani e persone in difficoltà economica. L'accessibilità del gioco online, con app e piattaforme disponibili 24 ore su 24, ha reso ancora più facile cadere nella dipendenza, specialmente tra i più giovani che utilizzano regolarmente smartphone e computer.
Dalla pubblicità alla "controcultura" online
Il divieto di pubblicità ha costretto il settore a cambiare strategia. Se nel 2012 si denunciavano spot televisivi come quello del "10 e Lotto" con lo slogan "giocare è facile, vincere di più", oggi il pericolo si annida nel web e nei social media. L'advertising, seppur formalmente vietato, trova il modo di aggirare le regole attraverso sponsorizzazioni, influencer e "consigli" che propongono il gioco come un modo divertente e veloce per fare soldi. Certo è una situazione amara, pensare come il nostro cervello, tanto sofisticato e delicato, finisca per subire un attacco del genere è sconsolante.
Il messaggio di "giocare consapevolmente" è ancora presente, ma spesso è solo una formula di rito per evitare sanzioni. Si è passati da messaggi televisivi a una vera e propria "controcultura" online, dove il gioco d'azzardo viene normalizzato e proposto come un'attività sociale o un investimento, alimentando un ciclo pericoloso di speranza e perdita.
Conclusioni: un problema ancora aperto
L'articolo che all'epoca scrivemmo e che adesso abbiamo aggiornato, del 2012, era profetico. Oggi, dodici anni dopo, la situazione è ancora più complessa. L'Italia ha fatto passi avanti nella legislazione, ma il problema della dipendenza non è scomparso, si è solo spostato su piattaforme diverse. E, purtroppo, la dipendenza dal gioco non è che una delle tante dipendenze di questo genere umano... "malato"!
Mentre l'Adoc nel 2012 chiedeva di destinare il 5% delle entrate del gioco a un fondo di assistenza, oggi è chiaro che servono interventi ancora più mirati: maggiore informazione sui rischi, supporto psicologico e clinico per i giocatori patologici e un monitoraggio più attento del gioco online. Il gioco d'azzardo è, e rimane, una grave malattia sociale. Ed è nostro dovere continuare a parlarne.

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