"Si tratta di un farmaco che cambierà la storia naturale della malattia", afferma Loreto Gesualdo, ordinario di nefrologia all’Università Aldo Moro di Bari e Past President Fondazione italiana del rene. "Lo studio - continua il nefrologo - ha dimostrato che, in aggiunta allo standard di cura, dapagliflozin ha ridotto, rispetto allo standard di cura, del 31% il rischio di mortalità da tutte le cause e del 39% il rischio relativo di peggioramento della funzionalità renale, l’insorgenza di malattia renale allo stadio terminale, o il rischio di morte cardiovascolare e renale in pazienti affetti da malattia renale cronica allo stadio 2-4 con albuminuria".
L’approvazione di dapagliflozin, secondo gli esperti, rappresenta dunque una svolta epocale nel trattamento della malattia renale cronica, "patologia con alto tasso di mortalità - specifica Gesualdo - che per il paziente in dialisi è del 50% a 5 anni, superiore a quella dei linfomi, cancro della prostata e della mammella. Questo farmaco è in grado di modificare la progressiva evoluzione del danno renale e cardiovascolare, con una semplice assunzione orale quotidiana”.
Tale molecola agirebbe proteggendo sia il rene che il cuore del malato con insufficienza renale e ciò sia in pazienti diabetici che non. Il farmaco agirebbe come antagonista nella iperfiltrazione glomerulare, una situazione patologica questa che riguarda sopratutto diabetici insulino dipendenti causa a sua volta di malattia renale per effetto di una forma di ipertensione glomerulare, un’alterazione funzionale caratteristica nei pazienti affetti da diabete mellito insulino-dipendente, nei quali si associa a progressione della nefropatia. Ciò causa un danno ai reni e perdita di albumina con le urine, ricordando che l’albumina è una proteina che nella normalità evita la perdita di acqua sia nel sangue che nei tessuti in genere. In breve l’iperglicemia, la pressione arteriosa alta, i disequilibri negli scambi di sodio a livello cellulare, cui si somma una predisposizione genetica ad andare incontro ad insufficienza renale, determinano tale grave patologia. Ad essere coinvolti dalla malattia i nefroni, che sono l’unità che fa funzionare i reni che svolgono la preziosa funzione di filtraggio delle urine, trattenendo le proteine e provvedendo al suo riassorbimento di tutte quelle sostanze come il glucosio, solo per citarne una, che l'organismo riutilizza senza perderlo, nella normalità.
Quando a seguito di patologie, come quelle appena viste, si crea un danno a livello renale, i capillari del glomerulo che di fatto sono una formazione vascolare renale costituita da un gruppo di capillari con funzione di filtrazione dell'urina dal sangue, non trattengono più i normali componenti del sangue e questi fuoriescono con le urine dove ritroviamo, a seconda della gravità della malattia, proteine, albumina, glucosio. Il depagliflozin, si oppone proprio agli effetti più nefasti della insufficienza renale cronica ed insieme ad una diagnosi precoce della malattia può partecipare attivamente nel contrasto della malattia non solo aumentando l’aspettativa di vita dei pazienti, ma rallentando il decorso patologico e opponendosi a quelle che sono gli stadi terminali della malattia stessa, sopratutto a livello cardiocircolatorio, un apparato che nelle forme terminali della malattia viene coinvolto al punto da assistere al decesso del paziente. Ovviamente, laddove il farmaco si mostrasse in tutta la sua efficacia, si assisterebbe alla sottrazione di pazienti alla dialisi al punto che molti ammalati potranno vedere in questo farmaco una speranza nel fronteggiare la grave situazione patologica.
Fonte: Pharmakronos
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