C’è un fatto importante che
occorre osservare quando si parla di una delle più temibili e note
malattie autoimmuni quale di fatto è il Lupus Ertitematoso. Ovvero, la constatazione
che la cura nei confronti di questa patologia, sia pure non risolutiva ma in
parte grazie all’apporto positivo dei farmaci biologici, foriera di buoni
risultati clinici, viene dopo un certo lasso di tempo, abbandonata da un grande
numero di pazienti.
A tale conclusione sarebbe
giunto uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Rheumatology riportando
i dati riguardanti il lavoro effettuato da un gruppo di ricercatori
dell’University College di Londra che avrebbe ben dimostrato come i pazienti
affetti da Lupus Eritematoso, dopo un primo inizio terapeutico ordinato e
preciso, nel tempo tendono a disertare le cure fino, addirittura in qualche
caso, abbandonarle.
Ma perché si verifica tutto
ciò? Secondo un gruppo di malati intervistati ciò si sarebbe verificato a causa
della paura che questi pazienti hanno nei confronti degli stessi farmaci,
perché si ritiene che questi presidi siano interessati da tutta una serie di
importanti effetti collaterali. A ciò si aggiunge la ritrosia di quei malati
che preferiscono affidarsi a trattamenti alternativi, anzicchè rivolgersi alle
attuali terapie farmacologiche.
Ma quest’abitudine di
abbandonare i trattamenti farmacologici di fronte alle malattie autoimmuni è
quanto di più sbagliato si possa fare, eppure al contempo si rileva come siano
tanti quei pazienti che hanno disertato le cure come dimostra un particolare
sondaggio cui si sono stati sottoposti questi pazienti. Non mancano infine quei
malati che poiché non avevano visto miglioramenti dalla terapia, non si fanno
troppi sensi di colpa nell’aver abbandonato le cure.
«Quando si ha a che fare con malattie croniche come il lupus eritematoso sistemico per cui non esistono cure miracolose e che comportano spesso periodi di relativo benessere e momenti veramente difficili è più facile cadere nella trappola della non corretta adesione alle cure – osserva Clodoveo Ferri, direttore della cattedra di reumatologia all’Università di Modena e Reggio Emilia, presso il Policlinico di Modena -. Nei momenti di sconforto il paziente può sentirsi solo e demotivato ad assumere farmaci che non ritiene poi così efficaci. In realtà è ben evidente che chi segue meglio le cure ha una prognosi migliore. Oltretutto rispetto agli anni 70-80, sono stati fatti grandi passi in avanti sul fronte delle cure e oggi si riesce a tenere sotto controllo la malattia molto meglio». Proprio perché il paziente affetto da lupus è più incline ad avere momenti di sconforto, è ancora più importante che instauri un buon rapporto con il proprio medico e il centro in cui è in cura. «Il medico di famiglia dovrebbe indirizzare il paziente a un centro di riferimento per la cura della sua malattia – sostiene Ferri -. In questi centri c’è una grossa esperienza e il paziente è seguito in modo completo anche grazie a un lavoro di squadra tra i diversi specialisti. Spesso ci sono ambulatori specializzati e la possibilità di un contatto continuo con gli specialisti. Questa gestione favorisce l’empatia tra medico e paziente con il risvolto positivo di una migliore adesione alle cure».
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