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Prima arriva la diagnosi meglio è
Artrite reumatoide, una delle più temibili malattie
autoimmuni ma che oggi fa sicuramente meno paura di un tempo quando tale
patologia finiva con l’invalidare del tutto il paziente esponendolo, fra
l’altro, a tutta una serie di rischi per la sua stessa vita, nella
inconsapevolezza della medicina di un tempo riguardo quest’altro aspetto della
malattia.
Una delle prime tappe nell’approccio alla malattia è
rappresentato dalla diagnosi precoce, visto che potersi accorgere della
malattia per tempo, da la garanzia di poter fronteggiare la patologia.
Ricordiamo che l’artrite reumatoide nella sola Italia riguarda qualcosa come
300 mila persone e nel mondo a soffrirne sono 21 milioni di pazienti. Si
capisce bene che oggi la conoscenza di questa patologia è di gran lunga più
ampia ed il rischio di non poterla diagnosticare in tempo è sempre minore.
Bisogna ricordare che parliamo di una malattia che privilegia le donne,
soprattutto nella fascia d’età compresa fra 40 e 60 anni, fermo però il fatto
che la malattia può manifestarsi a tutte le età.
La necessità di diagnosticare precocemente l’Artrite
Reumatoide è importante perché proprio all’esordio della patologia si palesano
i danni peggiori a carico delle articolazioni. Resta però il fatto che ancora
oggi un paziente su quattro riceve una diagnosi tardiva, anche dopo due anni
dall’esordio della patologia con tutto ciò che ne consegue, basti solo pensare
che secondo i reumatologi, diagnosticare dopo due anni tale malattia significa
subire un grado di inabilità che può giungere anche al 30%.
Sintomatologia dell’artrite reumatoide
Per poter agevolare il compito del medico indirizzandolo
verso la diagnosi di artrite reumatoide sottoponendo per tempo il paziente
verso quella serie di controlli basilari in grado di fare prima possibile luce
sulla patologia, bisogna tenere d’occhio questi sintomi. Per prima cosa il
paziente avverte gonfiore alle articolazioni, a cominciare dalle mani associato
al dolore con limitazione dei movimenti anche perché sovente le zone del corpo
colpite migrano dalle mani ai polsi e spesso anche ai piedi. Un sintomo da non
sottovalutare è quello rappresentato dal fatto che il problema coinvolge
entrambe le mani, entrambi i polsi, entrambi i piedi con dolenzia soprattutto
notturna e al risveglio, almeno nei primi periodi della malattia.
E, si badi bene, non parliamo di un fastidio sporadico
visto che il paziente riferisce tali sintomi per lunghi periodi, che possono
durare anche un mese di fila per poi assistere a lievi remissioni seguiti da
ingravescenza dei sintomi in un altalenarsi di sofferenze che rende penosa la
vita del paziente affetto da artrite reumatoide. Spesso a tutti questi sintomi
si associano febbre, spossatezza e tutto un corollario di altri sintomi spesso
soggettivi da paziente a paziente a seconda il grado raggiunto dalla malattia. La
figura del medico reumatologo diviene centrale dunque nel contesto di una patologia
tanto grave e insidiosa.
Cos’è l’artrite reumatoide
Semplificando la cosa, diciamo che l’artrite reumatoide,
essendo una malattia autoimmune al pari delle altre, si basa su un errore del
nostro sistema immunitario che finisce con l’autoattaccarsi e, dunque, sono le
nostre stesse difese che attaccano le articolazioni infiammandole in modo
cronico. A lungo andare tali processi infiammatori sono causa di vere e proprie
distruzione delle strutture. Ciò giustifica il dolore, il gonfiore e
l’impossibilità di movimento. Da ricordare che nei pazienti più anziani la
malattia si associa a condizioni quali l’osteoporosi ed il declino del paziente
si fa più veloce.
I metodi diagnostici
Oltre all’importanza rivestita dall’anamnesi con la
raccolta dei dati del paziente, ricordando che la predisposizione familiare per
questo tipo di malattie è importante, vista l’alta incidenza della patologia
nell’ambito dello stesso gruppo familiare, il resto utile ad indirizzare verso
la diagnosi è affidato alla radiologia, soprattutto indirizzando l’esame alle
articolazioni superiori al fine di indirizzare il medico verso l’individuazione
di quei danni che la malattia abbia o stia determinando. La ricerca di anticorpi
ematici specifici, i cosidetti fattori reumatoidi, oltre al fatto di assistere
a valori ematici più generici, quasi sempre alterati in maniera significativa.
Riveste importanza fondamentale la visita reumatologica,
considerato il ruolo centrale che lo specialista riveste nella diagnosi e
nell’individuazione di quei danni funzionali che la patologia sta già arrecando
al malato.
Come si cura l’artrite reumatoide
L’approccio terapeutico dell’artrite reumatoide considera
quei farmaci che a titolo diverso intervengono sui sintomi, dolore in primis e
sulla riduzione dell’infiammazione. Ovvio che per questa ragione si utilizzano
i cosiddetti Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) utili nel controllo
della sintomatologia dolorosa e nella riduzione del gonfiore annesso
all’infiammazione stessa. Spesso la loro azione però dev’essere affiancata dai
corticosteroidi, gli antinfiammatori per eccellenza che però andranno calibrati
in base alle esigenze del paziente e con i limiti imposti a tali sostanze per
via dei tanti effetti collaterali di cui sono capaci. In passato si
utilizzavano altri farmaci, compresi i Sali d’oro che però si tende a confinare
il più possibile per via degli effetti pesanti a livello dei reni. L’utilizzo
di farmaci antimalarici (Plaquenil) è indicato, anche se il suo utilizzo è
limitato dalla lentezza dell’azione e dai danni che il farmaco può determinare
a livello degli occhi. Un altro farmaco ancora utilizzato è il metotrexato che
in associazione o meno con alcuni farmaci di cui sopra presenta una buona
tollerabilità per il paziente, una buona efficacia e, oltretutto, oggi è anche
somministrabile sottocute anzicchè in muscolo come accadeva fino a qualche
tempo fa.
I farmaci biologici, la risposta a volte definitiva
Ma è da circa dieci anni che si sono fatti strada i
farmaci biologici, via, via, andatisi perfezionando nel tempo e che sembrano
rappresentare la nuova frontiera per queste e altre malattie autoimmuni che,
oltretutto, un po’ a sorpresa si sono
rivelati utili anche contro molte malattie neoplastiche, tumori. L’utilizzo di
tali sostanze nelle malattie autoimmuni è indicato per periodi lunghissimi,
spesso il paziente deve assumerli a vita a stretto controllo medico
intervallando alle cure periodi di sospensione del trattamento. Il grosso
limite di tali sostanze è dovuto al fatto che essendo farmaci “giovani”, non si
è ancora in grado di ipotizzare gli effetti a distanza di tali sostanze, poiché
non si dispone di una letteratura specifica nel merito. Fermo il fatto che la
medicina moderna è molto ottimista sulla tollerabilità di tali sostanze anche
nel tempo visti i perfezionamenti che si stanno operando. Restano i limiti dei
costi, elevatissimi, che a volte limitano l’utilizzo dei biologici.
Ma cosa sono i farmaci biologici
A dispetto del nome, un farmaco biologico non è un farmaco
naturale o estratto da sostanze naturali. Sono biologici quei farmaci che, di
fatto, nascono in laboratorio. Ci si riferisce ai cosiddetti anticorpi monoclonali
elaborati con la tecnica della biologia molecolare al punto che risultano
sempre più simili agli anticorpi reali, oppure, parliamo di una proteina riprogrammata al bisogno in modo da veicolarla
contro un bersaglio riconosciuto, alla stregua di quanto si fa con le
cosiddette “bombe intelligenti”. Tali sostanze
agiscono sul fattore di crescita tumorale, una citochina coinvolta nella infiammazione sistemica
ed è membro di un gruppo di citochine che stimolano la reazione della fase acuta.
Attaccando le citochine si arresta in qualche modo
l’infiammazione rendendo qualitativamente migliore la vita del paziente
affrancandolo in parte dall’infiammazione alle articolazioni in special modo e,
soprattutto, prevenendo la distruzione delle strutture nel tempo. Ecco perché è
importante quanto mai la diagnosi precoce al pari della cura. Il futuro sarà
rappresentato da quel farmaco biologico tanto perfezionato da essere costruito
sulle caratteristiche del singolo paziente.
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