Le
conseguenze di un evento del genere possono essere talora tragiche, altre
volte, un aneurisma cerebrale se non ha comportato un travaso ematico di
proporzioni elevate può risolversi chirurgicamente senza lasciare eccessive
conseguenze. Resta il fatto che tale complicanza vascolare presenta un rischio
elevato, soprattutto nei soggetti che ne sono predisposti fin dalla nascita, perché
di norma nella vita della persona, un aneurisma resta silente e, dunque, rimane una patologia
sicuramente subdola che può conclamarsi all’improvviso e, per di più, secondo
recenti dati, parrebbe che tali eventi negli ultimi anni si sono oltretutto
fatti più frequenti, resta da capire il motivo di tale evidenza.
Secondo
il pensiero dei ricercatori scientifici il maggior numero di eventi
riconducibili ad un aneurisma cerebrale non è tanto dovuto ad un aumento dei
casi, semmai di quelli diagnosticati, tenendo conto che oggi la medicina dispone
di armi diagnostiche sofisticatissime, quali la Tac, la Risonanza magnetica,
tecniche diagnostiche che prima non
esistevano proprio.
Resta
tuttavia da capire cosa accade in un individuo in buona salute che s’accascia
al suolo a causa di aneurisma cerebrale
Cominciamo
col dire che un aneurisma cerebrale è una sorta di malformazione clinica
congenita, di norma, che consiste in una estroflessione di un’arteria
cerebrale. Tale modificazione patologica del vaso assume la forma di un
palloncino che svolge per anni le sue funzioni senza presentare particolari
problemi e comunque senza dare alla persona che ne soffra motivo di
preoccupazione, per la semplice ragione che chi è portatore della malformazione
stessa può non accorgersene per tantissimi anni. Purtroppo però, tale
estroflessione si presenta più debole di quanto di norma accade con il vaso
integro e col tempo finisce con lo sfiancarsi potendo rompersi e riversando il
suo contenuto di sangue all’esterno dell’arteria con conseguenze talora
estreme, visto che di aneurisma cerebrale si può anche morire e sovente anche
in poco tempo. La malformazione è quasi sempre congenita ma esistono situazioni
patologiche insorte nella vita della persona che possono aprire la strada a
episodi riferibili ad un aneurisma cerebrale di tipo acquisito. Ricordiamo i
traumi cranici, ad esempio, o le infiammazioni cerebrali che abbiano richiesto
cure impegnative per la gravità della patologia che l’abbia determinato.
Le
dimensioni di un aneurisma cerebrali sono varie, potendo raggiungere un
diametro, riferito al “palloncino”, anche di cinque centimetri. In questo caso
parliamo di forme estreme comunque, visto che la norma ci riferisce di
formazioni che stanno entro i 2/3centimetri o anche meno. Non esiste un’età d’esordio
dell’evento, così come è raro riscontrare nell’età pediatrica episodi del
genere anche se non è escluso che un certo numero di bambini possa essere
affetto dalla condizione patologica di tipo asintomatico. Resta però importante
ricordare che la possibilità di andare incontro magiormente alla rottura di un aneurisma
cerebrale è di solito fissata fra i 30 e i 60 anni d’età.
Ovviamente
quando ci riferiamo agli aneurismi cerebrali non possiamo non evidenziare che
parliamo di eventi rari, ma non dobbiamo neanche dimenticare che nella sola
Italia più di un milione di persone sono a rischio, anche se non si sa quando e
se andranno sicuramente incontro alla rottura del vaso, così come, fin quando
non si diagnostica la malformazione, è impossibile stabilire le conseguenze che
un’eventuale rottura possa determinare nell’individuo. E’ molto più facile
invece immaginare che la lacerazione di un aneurisma cerebrale non rimanga un
fatto isolato nel singolo individuo, visto che stante la “debolezza” dei vasi
potrebbe verificarsi il caso che lo stesso paziente sia esposto alla rottura di
altri aneurismi sparsi presso altri vasi. Tuttavia, gli esami cui il paziente
si sottopone al verificarsi del primo evento, lo mettono in condizione di
stabilire l’eventualità di altri episodi o rischi del genere.
Da dire
inoltre che del milione e passa di persone portatori di aneurisma cerebrale,
coloro che corrono il rischio di andare incontro ad un evento che comporti la
rottura dell’estroflessione del vaso sono generalmente nell’ordine del 3% dell’intera
popolazione affetta dal problema, visto che molti pur essendo portatori di tale
malformazione vivono con essa per tutta la vita senza particolari problemi.
I sintomi
di un aneurisma
L’aneurisma
cerebrale a volte può conclamarsi con sintomi precisi senza giungere alla
rottura vera e propria del vaso. Quando tali sintomi sono evidenti e, soprattutto,
ricorrenti, il paziente deve recarsi prima possibile dal medico, visto che nei
casi in cui non si sia avuta la rottura dell’arteria, è possibile intervenire
evitando maggiori rischi. Fra i sintomi ricordiamo le cefalee, i disturbi
visivi, le eventuali crisi epilettiche senza che la persona vi sia mai andata
incontro, i disturbi della deambulazione e del linguaggio.
Come si
diagnostica la presenza di un aneurisma cerebrale
Spesso si
giunge ad una diagnosi di aneurisma cerebrale del tutto occasionalmente, magari
in concomitanza di esami volti a stabilire eventuali altre patologie di cui la
persona possa soffrire. Altre volte si giunge alla localizzazione della
patologia proprio perché il paziente ha lamentato sintomi di cui sopra, in
altre casi e sono i più gravi, la diagnosi di un aneurisma si effettua d’urgenza
a seguito della rottura del vaso e questi sono gli eventi più gravi la cui
prognosi spesso risulta infausta per il paziente. In tutti i casi oggi la
possibilità di ricorrere alla Tac, alla Risonanza Magnetica, fino alla
risonanza magnetica elicoidale, un esame ancora più sofisticato, spesso
abbinato all’angiografia cerebrale, lasciano pochi dubbi sulla presenza o meno
dell’aneurisma, anzi, spesso il ricorso a tali esami che di fatto “fotografano”
l’intero organismo, estende la visione a tutti i distretti cerebrali e non,
eventuali sede di altri aneurismi disseminati qua e là.
Se si
rompe il vaso
Il vaso,
a seguito di un aneurisma che ricordiamo può non essere di sola pertinenza del
cervello ma di qualsiasi altro distretto dell’organismo, può rompersi,
riversando il contenuto ematico fuori dalla sede dell’arteria, oppure si può
assistere al sanguinamento del vaso, con
una sorta di stillicidio continuo di proporzioni a volte sempre maggiori. I
sintomi sono dipendenti spesso dall’entità dello stillicidio stesso. A
determinare ciò può essere lo stress cui il vaso sia andato incontro negli
anni, oppure seguito da ricorrenti
episodi di tipo ipertensivo (pressione arteriosa alta) cui la persona soffra, fino a giungere a quei casi,
per la verità abbastanza rari, dove lo stress emotivo, unito o meno a forti
emozioni, potrebbero persino detenere una valenza importante ai fini della
rottura o del danneggiamento del vaso stesso.
Gli
effetti della rottura del vaso sono diversi a seconda delle dimensioni dello
strappo a carico dell’arteria. Ne consegue che maggiore è la fuoriuscita di
sangue, peggiori saranno le conseguenze e gli stessi sintomi cui il paziente va
incontro. Se, come visto, il semplice stillicidio determina una sintomatologia
ascrivibile ai rpoblemi cui si è accennato, l’abbondante fuoriuscita ematica si
può accompagnare con episodi improvvisi di violentissime crisi di cefalea, dove
al dolore insopportabile per il paziente, si associa il cosiddetto vomito
encefalico, ovvero, un vero e proprio vomito non causato da un problema di tipo
gastrico, semmai determinato dalla compressione che l’ematoma determinatosi
dopo l’emorragia esercita a carico del cervello. Generalmente in presenza di
questi eventi, che sono da considerarsi drammatici e che richiedono l’immediata
ospedalizzazione del paziente, lo stesso va incontro a perdita di coscienza, in
certi casi coma in altri casi si giunge fino alla morte a poco tempo dalla
crisi iniziale. Da dire che laddove si intervenga, nei casi estremi, in sala
operatoria con un intervento affidato al neurochirurgo, la prognosi è
dipendente non soltanto dalle dimensioni dello strappo, spesso neanche dalla
quantità di sangue fuoriuscita, visto che a volte è lo stesso ematoma ad
opporsi all’ulteriore emorragia di fatto tamponandola, semmai dalla sede in cui
si è verificata la compressione e conseguente mancata irrorazione di sangue nei
distretti colpiti. Insomma, una vera e propria ischemia indotta dalla
patologia, dagli esiti diversi e spesso imprevedibili, caso per caso.
Poiché,
come visto, gli eventi improvvisi che determinano la vera e propria emorragia cerebrale
sono quelli più gravi, non possiamo non evidenziare l’eventualità che da eventi
del genere si possa non sopravvivere, tant’è che la mortalità in presenza di
situazioni estreme può verificarsi nel volgere di qualche ora dall’evento, fino
alle successive dieci/24 ore, con la possibilità che al verificarsi di eventi
del genere, almeno tre pazienti su dieci, nonostante le cure, decedano entro
tale lasso di tempo, così come non si esclude tale estrema possibilità in tre
casi su dieci avvenuta nei primi giorni di trattamento così come, resta alta la
possibilità che un’analoga percentuale reliqui danni permanenti a seguito dell’emorragia,
ad esempio, emiparesi, difficoltà fino all’impossibilità di parlare, danni
irreversibili a carico della coscienza, della memoria, della deambulazione alla
stregua di quanto può accadere con un ictus che abbia determinato una vasta emorragia
o un’ischemia di grandi proporzioni. Tuttavia, una percentuale prossima al 30%
dei casi, supera l’evento senza riportare problemi particolari e riprendendo in
un tempo ragionevole la vita normale. Ovviamente questi pazienti dovranno nel
tempo attenzionare la situazione evitando la possibilità che successivi
aneurismi possano complicarsi.
Come si
agisce in presenza di un aneurisma cerebrale
Quando un
aneurisma cerebrale sia andato incontro a rottura del vaso il trattamento è
quasi sempre di tipo neurochirurgico. Spesso alla decisione di operare si
giunge non nell’immediatezza, ma tale scelta medica può essere dovuta non tanto
alla possibilità da parte dei medici di essere di fronte a situazioni che non
presentano particolari pericoli per il paziente, semmai alla necessità di
capire il tipo di evoluzione che l’evento può determinare nel breve periodo,
oppure, laddove le condizioni del paziente siano tanto gravi da rischiare
ulteriori rischi con un intervento massivo ed impegnativo. L’intervento può
rivelarsi necessario anche nei casi in cui l’aneurisma non abbia determinato
alcuna rottura del vaso ma presenta tale rischio sempre possibile. In questo
caso parliamo di interventi effettuati all’interno di un quadro clinico di
maggiore sicurezza per il paziente. Diverse le tecniche operatorie, oggi
affinate anche dal grado di sofisticatezza raggiunta dalla moderna
neurochirurgia. Poiché si tenderà in sala operatoria ad assorbire l’ematoma, ci
si impegnerà anche ad evitare che tale aspirazione del contenuto ematico
effettuata maldestramente possa conclamarsi con una successiva emorragia nell’immediatezza
dell’intervento oppure durante la degenza del paziente. Anche se c’è da dire
che anche con le migliori tecniche, i miglior propositi e i migliori medici specialisti, non è
possibile escludere del tuttoun exitus
infausto per il malato. Tuttavia oggi si propende per tecniche operatorie
quanto mai raffinate che prevedono l’utilizzo di un catetere di dimensioni
minime affinchè l’intervento possa includere la minor invasività possibile.
Una delle
più recenti tecniche che è possibile annoverare nell’ambito delle tecniche
operatorie meno invasive possibile è quella riferita ad un’inedita metodica
riferita al Centro di Radiologia Vascolare ed Interventistica dell’ospedale
civile di Pescara, diretto da Andrea Toppetti, fra le poche strutture in Italia
ad utilizzare, per il trattamento degli aneurismi cerebrali, una
particolare tecnica mini-invasiva denominata ”Embolizzazione”. Si opera
introducendo dall’inguine un sondino che dovrà raggiungere l’arteria femorale
fino all’arteria cerebrale di fatto interessata dall’aneurisma, che di fatto
viene chiuso.L’intervento viene effettuato in anestesia generale e non comporta
particolari sofferenze per il paziente anche nel post operatorio.
Una nota
per quanto riguarda la farmacologia post intervento o nella cura degli
aneurismi. Tutti i pazienti andati incontro ad un intervento chirurgico a seguito di un
aneurisma che abbia o meno comportato una rottura del vaso, vanno seguiti anche
da un punto di vista farmacologico. Non perché esista una terapia anti
aneurismi, semmai esistono terapie che possono rimediare alle conseguenze della
patologia o in parte preparare il paziente prima di giungere al lettino
operatorio, tenendo conto che eventuali terapie mediche volte al controllo
della pressione e al miglioramento della circolazione sanguigna sono previste
sia nella prevenzione dell’evento che nella cura di supporto laddove si sia già
verificato l’evento estremo.
Il trattamento degli aneurismi cerebrali rotti e non è ormai sempre di più effettuato con tecniche miniinvasive endovascolari angiografiche, anche se in alcuni casi è ancora necessario ricorrere all'intervento neurochirurgico classico.
RispondiEliminaI principali ospedali d'Italia ove presente una Neuroradiologia sono ormai in grado di offrire il servizio di Interventistica vascolare.
Ovviamente sono da preferire i grossi centri che riescono a trattare almeno 50 aneurismi all'anno.
In Lombardia per esempio H.Niguarda di Milano, Spedali Civili di Brescia.
Careggi a Firenze.
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