L’incapacità
e l’irresponsabilità di chi era al comando della Costa Concordia non ha
soltanto provocato una tragedia di vaste proporzioni col suo carico di vite
umane perite in fondo al mare e i tanti feriti che hanno patito danni più o
meno gravi dall’evento. Adesso a rappresentare un problema aggiunto è proprio
quel gigantesco relitto poggiato da un mese su un fianco che rischia di
diventare esso stesso un pericolo gravissimo per la salute di quanti vivono a ridosso del
luogo del sinistro nautico e la lista di rischi e sostanze tossiche che
potenzialmente potrebbero riversarsi in mare è tutt’altro che esigua.
Secondo
Greenpeace, che ha effettuato un accurato studio dall’Isola del Giglio,
raggruppando il tutto in un apposito rapporto denominato “Toxic Costa”, si
evince che le sostanze pericolose che potrebbero diluirsi con l’acqua di mare
in caso di affondamento della nave sono innumerevoli
.
“A parte essere in attesa di sapere quali e
quanti detergenti erano a bordo di questa piccola città galleggiante – spiega
Vittoria Polidori, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace –
sono state veicolate delle informazioni in alcuni casi superficiali.
Greenpeace apprezza la trasparenza che ha portato alla pubblicazione
dell’inventario, ma l’uso di termini generici come “pitture e smalti” o
“insetticida” non permette di effettuare stime apprezzabili dei rischi per
l’ambiente”. Ma c’è di più, in atto non si riesce ancora a comprendere quanti e
quali articoli di arredamento erano presenti nella nave alla partenza.
Stabilire il tipo di oggetti è importante per capirne la costituzione chimica
delle sostanze che li compongono. Si pensi infatti ai tappeti,
ai tendaggi,ai tavoli, agli elettrodomestici
che contengono additivi chimici, molti dei quali pericolosi.
“Se la nave
si dovesse spezzare o rimanere a lungo adagiata sul fondo, sostanze come ftalati,
alchilfenoli (tensioattivi non ionici), composti a base di bromo
e paraffine clorurate potrebbero, nel corso degli anni, essere
gradualmente rilasciate in mare e contaminare l’ambiente circostante – spiega
l’associazione – Quanto al carburante, di cui sono appena state avviate le
operazioni di estrazione, si tratta dell’IFO380 un combustibile particolarmente
pericoloso per la sua alta densità e per questo vietato nella navigazione in
Antartico. La sua fuoriuscita determinerebbe il maggior impatto sull’ambiente
dell’Isola del Giglio, che è parte del Santuario dei Cetacei”.
Sono ormai oltre
28 mila le persone che hanno firmato la petizione
di Greenpeace per chiedere un decreto interministeriale che regoli
il traffico marittimo nelle aree a rischio, come appunto il Santuario dei
Cetacei. “Oltre a un decreto sulle rotte a rischio in discussione, adesso c’è
un’occasione da non perdere, la convocazione del Tavolo tecnico promesso dalle
regioni Liguria e Toscana entro il 29 febbraio per discutere di una gestione
seria del Santuario. È ora che tutti, compreso il Governo, si assumano le
proprie responsabilità”, commenta Polidori.
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