Pensavamo che fosse il cancro, in
tutti i suoi aspetti, la malattia che più spaventava le donne e invece no, un
po’ a sorpresa assistiamo che la patologia che più atterrisce le donne,
soprattutto per quelle che si sono ammalate ed in qualche modo ne sono uscite,
è la depressione. Il motivo è semplice, la depressione è una malattia subdola
che si riconosce spesso dopo essersi palesata con i primi danni che è capace di
arrecare alla persona nel rapportarsi col prossimo, coi suoi riverberi negativi
sul lavoro e sulla salute in generale.
La depressione che, oltretutto
privilegia in particolar modo il sesso femminile, alla lunga e senza cure
finisce per annientare la persona e lo sanno bene proprio quelle donne che si
sono dovute assumere l’incarico di accompagnare nei percorsi più bui della
malattia, parenti ed amiche che con questo problema si son dovute misurare. Ma
la depressione è ancora più temibile perché non si palesa alla stregua di una
malattia organica, pur riconoscendo in questa malattia mentale anche la sua
parte organica, la depressione prende il sopravvento a volte lentamente e
inesorabilmente occupando le nostre giornate e tingendole di un colore ogni
giorno più scuro. Ecco perché, le donne, in questo caso, temono più la
depressione del cancro, perché la malattia le priva di tutto, anche della
voglia di vivere..Oltretutto a rendere più fosco il
quadro, ci si mette un’altra constatazione da parte delle donne, oltretutto,
del tutto errata. Mentre si ritiene, giustamente, che oggi, grazie alla
prevenzione e alle nuove cure anticancro, le neoplasie siano più inquadrabili
ed in parte curabili di un tempo, sono ancora troppe quelle donne che pensano
che di depressione non si guarisca più, insomma, che di depressione si muoia
soltanto e tutto ciò è sicuramente sbagliato.
Poi c’è un altro spauracchio vissuto
nell’immaginario collettivo di chi in qualche modo viene investito dal problema
depressione. Persino il cancro, a dire di molte donne, alla lunga e nel
peggiore dei casi si conclude con la morte del malato. La depressione no, ti
lascia vivere…. ma in che modo? Con le lenti oscurate che ti limitano la
possibilità di assistere e intendere a pochissima distanza da te quel che ti
riserva non più il futuro, che tanto non vedi più, ma l’immediato che, poichè
sofferto, ti porta ad immaginare il futuro solamente angosciante. Gli stessi
ricordi, anche quelli un tempo ritenuti piacevoli, sono avvolti dalla fitta
coltre di pessimismo e finiscono anch’essi per risultare sgraditi. E che dire
di quel sonno ristoratore, magari ricercato con insistenza perché in grado di
affrancarci per qualche ora dal vissuto quotidiano, che tarda ad arrivare e che
quando arriva è di qualità sempre pessima, costellato com’è da incubi e sogni
agitati. Poi ci si mette la forma fisica in generale, solitamente a pezzi,
funestata da disturbi qua e là, spesso dolorosi e mai silenti che rendono la
vita un vero calvario. Ecco perché qualche volta il proposito suicidario
diventa incontrollabile al punto che qualcuno giunge ad applicare e sperimentare
su se stesso l’insano gesto.
Ma di depressione, si guarirà mai?
Sembrerebbe paradossale una domanda
del genere, da un lato con tutto quanto detto, dove la depressione la si
immagina come quel Castigo di Dio dal quale è impossibile liberarsi e
dall’altra di fronte alla constatazione di un’epoca sempre più affrancata da
tante malattie, anche le più gravi che, apparentemente,sembra non aver trovato
alcuna cura per la depressione. Ma la domanda ricorre sovente, se la sentono
fare soprattutto medici e psicologi accorsi a soccorrere il malato, si può
venir fuori dal tunnel, esiste uno spiraglio in fondo alla buia galleria dove
il depresso pare essersi cacciato?
Si, è la risposta, ma solo se si
prende immediatamente coscienza del fatto che la depressione è una malattia e
come tale va trattata da professionisti in grado di riconoscerla e non la si
continui a ritenere solo uno stato d’animo negativo o, peggio ancora, il modo
inventato dal malato per mettersi in mostra nei confronti del prossimo.
Insomma, la depressione non è un capriccio del singolo e dovremmo anche
smetterla di definire allo stesso modo una semplice giornata “NO” del singolo
individuo quando afferma di sentirsi un po’ depresso. Altro è il cattivo umore,
ben altro è la depressione.
La cura non consiste in una bevuta al
bar con gli amici
E se, almeno secondo gli ultimi dati,
di depressione si guarisce nel 98% dei casi, anche se questa pare una visione
troppo ottimistica, visto che in troppi sfuggono dal totale dei malati per il
semplice fatto che non si fanno neanche visitare, bisogna ricordarsi che gli
unici titolati a curare la depressione, soprattutto nelle forme più gravi, sono
medici e psicoterapeuti che riconoscono i sintomi e prescrivono le cure. Non si
creda che per guarire dalla malattia bastino gli amici, i parenti, o un
sacerdote, la depressione è una malattia a volte molto impegnativa, quando
impareremo a capirlo capiremo perché a curare la depressione devono essere
coloro che hanno i titoli per affrontare la malattia. Altrimenti, pensando diversamente,
viene da chiedersi, perché non farsi curare una gamba fratturata da un
sacerdote?
La cura della depressione è per o più
affidata ai farmaci, poi si interviene sull’ambiente in cui vive il soggetto ed
in questo preziosa è anche l’opera della psicoterapia
affidata a mani esperte come quelle dello psicologo clinico.
Avremmo dovuto prender atto della gravità della malattia da più tempo, non
foss’altro perché la depressione si va annidando nei Paesi maggiormente
sviluppati a ritmi sempre più alti a causa di tutta una seria di motivazioni
diverse al punto che è tanto diffusa in Italia da poter tranquillamente
sostenere che a soffrire di depressione
siano non meno di sei donne su dieci, le quali possono testimoniare che in un
preciso momento della propria vita hanno avuto a che fare per lo meno con forme simil depressive;
tali donne per lo più vivono nei grandi centri urbani.
Scarsa fiducia nelle cure
Anche un recente studio commissionato
dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (ONDA) ci da bene l’idea
di come la depressione sia tanto temuta dalle donne ma in parte poco
conosciuta, chissà, in una sorta di tentativo quasi inconscio di esorcizzarne
la paura. Lo si è evinto bene quando si è chiesto ad un nutrito gruppo di
appartenenti al sesso femminile di esplicitare la loro paura nei confronti del
cancro al seno e si è visto come a qualsiasi età su cento intervistate quelle
terrorizzate dalla neoplasia erano poco più di 24. Ben diverso il discorso
quando alle stesse persone è stato chiesto di esprimersi sulla loro eventuale
paura di incorrere nel tempo in una qualche forma di depressione. In questo
caso la paura di potersi ammalare non è ubiquitaria in tutte le fasce d’età,
soprattutto quando si chiede alle intervistate di esprimere giudizi sull’efficacia
delle eventuali terapie;
visto che su cento donne di età compresa fra 30 e 39 anni la percentuale di
quelle che non credono possibili cure mirate sono 78 donne che sfiorano le 82
al variare dell’età, in questo caso compresa fra 40 e 49 anni e per quelle
donne che hanno superato i 50 anni di età, almeno 70 su cento è scettica e ha
poca fiducia delle terapie.
Sorprende anche il fatto che le donne
hanno scarsa fiducia nei farmaci oggi disponibili per curare la malattia. Lo
dimostra il fatto che 40 donne su cento non credono sull’efficacia dei presidi
terapeutici, solo 16 donne su cento li considera molto efficaci, visto che 83
donne su cento giudica molto più efficace la terapia psicologica. Insomma, le donne
ritengono che i farmaci attualmente disponibili abbiano solo effetti limitati
nel tempo senza risolvere le cause principali della
depressione. E proprio chi conosce la malattia assegna un giudizio
più basso rispetto a chi non l`ha mai incontrata. E forse è proprio
responsabilità della stessa medicina, intesa come scienza, nel non essere
riuscita a risultare sufficientemente credibile nel suo ruolo in ambito alla
depressione. Troppo spesso infatti la scienza medica nella pratica diviene un distributore di
soluzioni terapeutiche dispensate senza troppo inquadrare il problema e, quando
le prime cure risultano inefficaci è difficile per il paziente continuare a
nutrire fiducia nei confronti della soluzione della malattia di cui soffra.
Anche se, qualcosa pare cambiare, lo dimostra il fatto che le donne cominciano
a riconoscere i sintomi della malattia ed è gia qualcosa, visto che il 40,3% li
sa individuare e sa quanto è importante agire tempestivamente. Il punto di
riferimento rimane il medico
di famiglia (29% delle donne) seguito dai famigliari (23%), psicologo (15%) e psichiatra (13%).
Diverso è invece il caso di quelle
depressione di cui sia ben nota l’origine organica rappresentata ad esempio,
dalla depressione post partum o quella in qualche modo annessa al sovvertimento
ormonale derivante da alterazioni del ciclo mestruale. In questo caso la
preparazione delle donne si fa più approfondita e si corre con maggiore fiducia
dal medico chiedendogli di prescrivere quelle cure atte a riequilibrare la
situazione. Infine, visto che si parlava di suicidio, un dato parrebbe essere
molto importante. Il suicidio
o il tentativo di metterlo in atto, uno degli aspetti più
tragici di questa malattia, nelle donne
è molto più frequente che negli uomini, dove è però più spesso portato a
compimento.
Nessun commento:
Posta un commento
Ti preghiamo di inserire sempre almeno il tuo nome di battesimo in ogni commento