Per
molto tempo non si annetteva alcuna importanza alla depressione post
partum, al punto da considerare la mamma che si chiudeva a riccio nel
suo malessere dopo aver partorito un bambino una sorta di donna
viziata incapace di affrontare la sua nuova vita col piccolo e poco
incline a non essere più al centro dell'attenzione dopo la
gravidanza come invece era un tempo. Poi si cominciò a capire che la
depressione post partum è una malattia a tutti gli effetti e come
tale va trattata, ma continuando a sorvolare sul vero problema della
malattia e sui rischi che essa comportava, fino a quando non è
scattata l'allerta per gli esiti di quella che si definisce anche
baby blues, appunto depressione post partum, tanto tragici da mettere
in serio rischio la vita del piccolo neonato che spesso paga con la
vita la scarsa attenzione nei confronti della grave malattia mentale cui soffre la
madre.
Quando
finalmente si è capito che la
depressione post partum,
nell'interesse di madre e bambino andava curata, si sono aperte le
problematiche annesse alla cura, visto
che
alcuni farmaci interferiscono
con la lattazione potendo creare inconvenienti al neonato.
Ma la buona notizia è arrivata, l'azienda statunitense Sage
Therapeutics ha infatti divulgato gli esiti di uno studio effettuato
su un numero importanti di donne che soffrivano di questa patologia.
Ricordiamo che lo studio cui ci si riferisce è in Fase 2, il che
significa, come ci spiega bene l'Agenzia del Farmaco uno
studio
terapeutico-esplorativo dove
comincia ad essere indagata l’attività terapeutica del potenziale
farmaco, cioè la sua capacità di produrre sull’organismo umano
gli effetti curativi desiderati. Questa fase serve inoltre a
comprendere quale sarà la dose migliore da sperimentare nelle fasi
successive, e determinare l’effetto del farmaco in relazione ad
alcuni parametri (come, ad esempio, la pressione sanguigna)
considerati indicatori della salute del paziente. Negli
studi di fase 2 la sostanza è somministrata a soggetti volontari
affetti dalla patologia per cui il farmaco è stato pensato. I
soggetti “arruolati” per lo studio vengono generalmente divisi in
più gruppi, a ciascuno dei quali è somministrata una dose
differente del farmaco e, quando è eticamente possibile, un placebo
(vale
a dire una sostanza priva di efficacia terapeutica). Per evitare che
la somministrazione del placebo influenzi le aspettative dei
partecipanti, le valutazioni dei parametri di attività e sicurezza
sono condotte senza che paziente (si parla così di studio in cieco
singolo), o medico e paziente (studio in doppio cieco), conoscano il
tipo di trattamento ricevuto o somministrato.
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