Immaginare
di poter sconfiggere le demenze ma in particolare il Morbo di
Alzheimer, la demenza per eccellenza, con un semplice farmaco
antinfiammatorio, un fans insomma, solitamente utilizzato contro il
mal di testa o le affezioni dolorose a carico delle articolazioni
sembrerebbe follia allo stato puro, ma se si va a guardare il
meccanismo d’azione di un fans quale l’acido mefenamico, nome
commerciale Lysalgo, forse lo studio che ne è conseguito potrebbe
sembrare meno folle di quanto è stato osservato, sia pure
sperimentalmente da ricercatori inglesi. Lo
studio cui ci si riferisce è stato pubblicato sulla rivista scientifica
Nature Communic ations ed è stato capinato da David Brough
dell’Università di Manchester il quale avrebbe concluso che almeno
sui ratti di laboratorio, l’utilizzo di questo fans avrebbe sortito
come effetto la cura dell’infiammazione a livello del cervello dei
ratti e la conseguenza inversione della perdita di memoria che si
sarebbe di fatto ripristinata.
Nessun trionfalismo ovviamente, lo
dice il team di ricercatori e chi l’ha affiancato nella
sperimentazione, Catherine Lawrence, che ha condotto la ricerca in
collaborazione con il dottorando Mike Daniels e postdoc Jack
Rivers-Auty che hanno svolto la maggior parte dei lavori scientifici.
Resta però il fatto che gli esperimenti hanno avuto l’esito
auspicato, quello di assistere ad una remissione importante e
duratura della sintomatologia. Del resto, quando si parla di Morbo di Alzheimer, cautela a parte, ogni tassello che si aggiunge alla
ricerca di quel presidio medico che possa in qualche modo arrestare
la malattia è ben visto dalla Comunità Scientifica, stante il fatto
che questa grave patologia neurodegenerativa non è solo in
evoluzione per gli effetti probabili negativi di fattori ambientali
esterni che potrebbero incidere
pesantemente sull’ evoluzione e sul numero dei malati sempre
maggiore di decennio in decennio. Ma torna in auge un sinistro
presagio di cui si parla ormai da anni, quello che indica il Morbo di
Alzheimer un evento quasi ineluttabile in una popolazione umana che
invecchia, la cui vita media si allunga sempre di più al punto che,
almeno secondo il pensiero di accreditati scienziati in tutto il
mondo, ci si ammala oggi molto di più di ieri e domani molto di più
di oggi perché all’ aumentare della vita media le possibilità di
andare incontro al Morbo di Alzheimer sono sempre più alte. Un
tempo, quando la vita media si assestava circa alla metà
dell’attuale, le possibilità di andare incontro all’Alzheimer
erano pressocchè nulle perché il cervello non aveva ancora avuto il
tempo di degenerarsi andando incontro alle demenze in generale,
Alzheimer in testa.
Un
trentacinquennio e senza adeguate cure avremo il doppio di malati di
Alzheimer nel mondo
Oggi
hanno a che fare con la malattia in maniera più o meno grave,
considerando anche le demenze non ascrivibili all’Alzheimer almeno
nelle prime fasi, stante il fatto che fino adesso la malattia è
inguaribile, quasi 50 milioni di persone al mondo, ma basteranno
venti anni e il numero di questi malati si raddoppierà e quasi si
triplicherà in 35 anni e l’Alzheimer riguarda il 60% almeno di
tutte le demenze senili e non, se consideriamo che la soglia di
ingresso alla malattia s’è abbassata in fatto di età, potendo
ravvedere i primi sintomi della grave patologia neurodegenerativa
anche a 50 anni. Questo spiega l’impegno da parte del mondo
scientifico nel contrasto alla malattia anche con scoperte che di
primo acchito ci fanno sembrare persino singolare la cura, ma nulla
va lasciato al caso di fronte a quella che ha le forme di una vera e
propria pandemia di grande impatto sociale. Ecco
che risulta interessante anche una ricerca il cui esito sembrerebbe
persino troppo scontato di fronte alla miriade di altri studi
sicuramente più elaborati che fino adesso sono rimasti solo teorici o quasi, con la triste considerazione che fino ad oggi la scienza non ha
trovato la chiave di volta per la cura definitiva nei confronti
dell’Alzheimer, ne deriva che ben venga qualunque soluzione porti
beneficio nella cura della grave patologia. E dunque, vediamo come si
svolge quest’interessante scoperta inglese.
Un
semplice fans per debellare la malattia
La
ricerca è stata finanziata
dal Medical Research Council e dall’Alzheimer’s Society, che
ha utilizzato 10 ratti transgenici. Cominciamo col dire che un
organismo transgenico è un individuo al quale è stato inserito grazie all’ingegneria genetica un gene dall’esterno. Ne da una chiara
spiegazione Wikipedia quando parla di transgenesi. Dieci di questi ratti transgenici hanno
assunto acido Mefenamico e altri 10 sono stati trattati con placebo,
ovvero sostanze prive di qualsiasi principio attivo, tutti gli
animali avevano manifestato problemi annessi alla memoria al punto da
poterli catalogare come affetti da Malattia di Alzheimer o demenze
alla stessa malattia riconducibili. Il farmaco veniva loro
somministrato sotto cute per un mese di fila, trascorso il quale, si
è assistito nei ratti che avevano assunto il fans un’inversione
della perdita di memoria, insomma, per farla breve, quei ratti che
avevano assunto la specialità farmaceutica avevano ripristinato gli stessi livelli di
memoria di quei topi osservati in laboratorio che risultavano non
affetti da demenza o Alzheimer.
“Ora ci sono prove sperimentali che suggeriscono che l’infiammazione nel cervello peggiora il morbo di Alzheimer e favorisce la sua progressione – ha osservato il dottor Brough -.La nostra ricerca dimostra per la prima volta che l’acido Mefenamico, un semplice farmaco non steroideo anti-infiammatorio, può avere come bersaglio un importante percorso infiammatorio chiamato inflammasome NLRP3, che danneggia le cellule cerebrali. Fino ad ora, nessun farmaco è riuscito ad indirizzare questo percorso, quindi siamo molto eccitati dai nostri risultati. Ora stiamo preparando le applicazioni da eseguire nella fase II della sperimentazione proof-of-concept, per verificare l’effetto del farmaco sulla neuroinfiammazione negli esseri umani”.
Dunque
tanto entusiasmo ma nessuna certezza ancora che il farmaco possa
funzionare negli umani, bisogna anche considerare che i farmaci hanno
il grosso limite quando agiscono a livello cerebrale rappresentato
dal superamento della barriera ematoencefalica che è il grosso
filtro che blocca le sostanze esterne prima di arrivare al cervello e
non solo, lo studio infatti vuole anche stabilire per quanto tempo
una cura di questo tipo, potrebbe funzionare prima di poter cantare
vittoria e quale dovrebbe essere il dosaggio necessario per ottenere
i primi benefici. Insomma, tutte risposte a cui lo studio non è
giunto ancora ma resta tuttavia un importante traguardo, partendo
dalla considerazione, come visto, che l’Alzheimer si conclama
laddove vi sia infiammazione e dunque qualsiasi farmaco possa
contribuire a spegnere tale infiammazione potrebbe rappresentare un tassello
importante verso la cura della grave patologia.
“Il test dei farmaci già in uso per altre condizioni - ha commentato Doug Brown, direttore del settore Ricerca e Sviluppo presso l’Alzheimer Society - è per noi una priorità, perché potrebbe permetterci un rapido sviluppo di un nuovo farmaco. Questi promettenti risultati di laboratorio identificano una classe di farmaci già esistenti che hanno il potenziale di trattare il morbo di Alzheimer bloccando una particolare parte della risposta immunitaria. Questi farmaci, tuttavia, non sono esenti dal procurare effetti collaterali e a mio avviso non dovrebbero essere assunti per la malattia di Alzheimer, non in questa fase. Sono prima necessari studi sulle persone”.
Insomma,
nessun trionfalismo in questa fase, al riparo dai facili entusiasmi,
ma la strada verso la soluzione di questo male del nostro tempo,
potrebbe anche passare da un semplice farmaco antinfiammatorio.
Giuliano
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