Un
recentissimo studio del CNR ha posto in luce una situazione che, per
la verità, conosciamo già da tempo, ma che, laddove ce ne fosse
ancora bisogno, stigmatizza quanto mai la l’evidenza di come tutte
le nostre attività, compresi i consumi delle sostanze e dei prodotti
che utilizziamo tutti i giorni, impattano con il pianeta. Non
serve fare terrorismo psicologico additandoci per questo come
distruttori del pianeta ed abbracciando un’odiosa ideologia che
vorrebbe annientare ogni forma di civiltà acquisita.
Lo spirito
dello studio è semmai utile se lo si analizza in una chiave diversa,
ovvero, quella di prevedere delle sostanze che impattino in maniera
più soft sul pianeta e, se possibile, fare un uso di tali sostanze quanto più
possibile consapevole.
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Parliamo di creme solari, le irrinunciabili
protezioni della pelle in uso sopratutto in estate quando ci
sollazziamo ai raggi del sole in spiaggia. Secondo il lavoro
effettuato dal CNR, sono state ritrovate tracce di creme solari al
Polo Nord, luogo ben distante dalle nostre amene località
turistiche, eppure, anche in quei luoghi tanto distanti, i
ricercatori dell’ Università
Ca’ Foscari Venezia e dell’Istituto di scienze polari del
Consiglio nazionale delle ricerche CNR.-ISP,
in collaborazione con l’Università delle Svalbard che hanno
pubblicato i risultati sulla rivista scientifica Science of the Total
Environment, hanno rivelato tracce nei ghiacciai dell’arcipelago
delle Svalbard, appunto, di creme solari.
I
risultati hanno rivelato la presenza di diversi composti, come
fragranze e filtri UV, che derivano dai prodotti per la cura
personale di largo consumo, fino alle latitudini più estreme.
“Questa
è la prima volta che molti dei contaminanti analizzati, quali
Benzofenone-3, Octocrilene, Etilesil Metossicinnamato e
Etilesil Salicilato, vengono identificati nella neve artica”,
afferma Marianna D’Amico, dottoranda in Scienze polari
all’Università Ca’ Foscari Venezia e prima autrice dello
studio.
“Questa
è la prima volta che molti dei contaminanti analizzati, quali
Benzofenone-3, Octocrilene, Etilesil Metossicinnamato e
Etilesil Salicilato, vengono identificati nella neve artica”,
afferma Marianna D’Amico, dottoranda in Scienze polari
all’Università Ca’ Foscari Venezia e prima autrice dello
studio.
“I
risultati evidenziano come la presenza dei contaminanti emergenti
nelle aree remote sia imputabile al ruolo del trasporto atmosferico a
lungo raggio”, spiega Marco Vecchiato, ricercatore in Chimica
analitica a Ca’ Foscari e co-autore del lavoro. “Infatti, le
concentrazioni più alte sono state riscontrate nelle deposizioni
invernali. Alla fine dell’inverno, le masse d’aria contaminate
provenienti dall’Eurasia raggiungono più facilmente l’Artico”. “L’esempio
più evidente riguarda proprio alcuni filtri UV normalmente presenti
nelle creme solari. L’origine delle maggiori concentrazioni
invernali di questi contaminanti non può che risiedere nelle regioni
continentali abitate a latitudini più basse: alle Svalbard durante
la notte artica il sole non sorge e non vengono utilizzate creme
solari”, prosegue Vecchiato.
La
distribuzione di alcuni di questi contaminanti varia in base
all’altitudine. La maggior parte dei composti ha concentrazioni
maggiori a quote più basse, tranne l’Octocrilene e il
Benzofenone-3, due filtri UV comunemente utilizzati nelle creme
solari, che al contrario sono più abbondanti sulla cima dei
ghiacciai, dove arrivano dalle basse latitudini trasportati dalla
circolazione atmosferica.
A
questo punto i ricercatori si chiedono come sia mai possibile che
tali sostanze riescano a viaggiare e raggiungere mete tanto distanti
al punto da essere reperite in tale misura, anche in considerazione
del fatto che le condizioni climatiche in quei luoghi ove sono state rinvenute le sostanze, sono quanto mai proibitive e questo fatto avrebbe fatto propendere
per una degradazione spontanea dei costituenti delle creme solari. La risposta a tutto
questo potrebbe essere anche la nuova chiave di lettura da estendere ai
produttori al fine di rendere quanto mai più biodegradabili sostanze
di cui sicuramente non possiamo fare a meno, se vogliamo evitare di
abbrustolirci d’estate la pelle col rischio quanto mai certo di
incorrere in gravi malattie neoplastiche della pelle, come ad esempio
il melanoma.
Fonte: Ufficio stampa Cnr: Cecilia Migali,
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“Questa
è la prima volta che molti dei contaminanti analizzati, quali
Benzofenone-3, Octocrilene, Etilesil Metossicinnamato e
Etilesil Salicilato, vengono identificati nella neve artica”,
afferma Marianna D’Amico, dottoranda in Scienze polari
all’Università Ca’ Foscari Venezia e prima autrice dello
studio.
“Questa
è la prima volta che molti dei contaminanti analizzati, quali
Benzofenone-3, Octocrilene, Etilesil Metossicinnamato e
Etilesil Salicilato, vengono identificati nella neve artica”,
afferma Marianna D’Amico, dottoranda in Scienze polari
all’Università Ca’ Foscari Venezia e prima autrice dello
studio.
“I
risultati evidenziano come la presenza dei contaminanti emergenti
nelle aree remote sia imputabile al ruolo del trasporto atmosferico a
lungo raggio”, spiega Marco Vecchiato, ricercatore in Chimica
analitica a Ca’ Foscari e co-autore del lavoro. “Infatti, le
concentrazioni più alte sono state riscontrate nelle deposizioni
invernali. Alla fine dell’inverno, le masse d’aria contaminate
provenienti dall’Eurasia raggiungono più facilmente l’Artico”.
“L’esempio
più evidente riguarda proprio alcuni filtri UV normalmente presenti
nelle creme solari. L’origine delle maggiori concentrazioni
invernali di questi contaminanti non può che risiedere nelle regioni
continentali abitate a latitudini più basse: alle Svalbard durante
la notte artica il sole non sorge e non vengono utilizzate creme
solari”, prosegue Vecchiato.
Responsabile: Emanuele Guerrini
Marianna D'Amico, Roland Kallenborn, Federico Scoto, Andrea Gambaro, Jean Charles Gallet, Andrea Spolaor, Marco Vecchiato, Chemicals of Emerging Arctic Concern in north-western Spitsbergen snow: Distribution and sources, Science of The Total Environment, January 2024.
Andrea Spolaor, ricercatore Cnr-Isp,
Marianna D’Amico, dottoranda Università Ca’ Foscari Venezia,
Marco Vecchiato, ricercatore Università Ca’ Foscari Venezia
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