I costi privati da sostenere sono troppo elevati, l’assistenza farmaceutica,
domiciliare e di riabilitazione è erogata a macchia di leopardo, le
ripercussioni sul lavoro sono talmente pesanti che si rinuncia alle cure o si
arriva a nascondere la propria patologia: avere una malattia cronica o rara, o
assistere una persona malata in famiglia, è sempre più un’odissea, curarsi non
è permesso o è diventato un vero “lusso” perché i costi diretti e indiretti
della malattia sono sempre più insostenibili per i pazienti e per le loro
famiglie.
Uno dei problemi riscontrati riguarda il contesto lavorativo: l’84%
delle associazioni dichiara che i pazienti non riescono a conciliare l’orario
di lavoro con le esigenze di cura ed assistenza, al punto che nel 63% dei casi
hanno ricevuto segnalazioni di licenziamenti o mancato rinnovo del rapporto
lavorativo per le persone con patologie croniche e invalidanti e nel
41% dei casi per i familiari che li assistono. Il 60% ha
riscontrato difficoltà nella concessione dei permessi retribuiti, il 45% nella
concessione del congedo retribuito di due anni; il 49% evita di prendere sul
lavoro permessi per cura e il 43% nasconde la propria patologia.
C’è poi l’annoso problema dei costi dell’assistenza sociosanitaria: il
54% ritiene troppo pesante o oneroso il carico assistenziale
non garantito dal Servizio sanitario nazionale. Le spese
annuali a carico del paziente sono molto elevate: se ci si affida alle
cure di una “badante” servono oltre 9 mila euro l’anno, mentre si spendono in
media 1585 euro all’anno per tutto ciò che serve alla cosiddetta prevenzione
terziaria (diete particolari, attività fisica, dispositivi e tutto ciò che è
utile per evitare le complicanze), più di 1.000 euro per visite ed esami a
domicilio, o ancora in media 3711 euro l’anno per adattare la propria
abitazione alle esigenze di cura. I farmaci non rimborsati costano in media 650
euro, i parafarmaci 900 euro. Chi non può pagare, in una percentuale che arriva
anche all’80% di chi è in cura, rinuncia alla riabilitazione, al monitoraggio
della patologia, ad acquistare i farmaci non dispensati, alla badante,
all’acquisto di protesi e ausili non passati dal servizio sanitario nazionale.
In un contesto del genere, la prevenzione viene ritenuta ampiamente
insufficiente, e anche chi si impegna personalmente spesso è costretto a
ricorrere alle visite private. La diagnosi troppo spesso arriva in ritardo: il
75% delle Associazioni dichiara di aver ravvisato ritardi diagnostici nella
propria patologia di riferimento. Il sospetto diagnostico viene formulato
generalmente dallo specialista di riferimento (67%) e solo nel 20% dei casi dal
Medico di Medicina Generale che si interfaccia con lo specialista solo per il
59% delle associazioni. Continuano inoltre le difficoltà per vedersi
riconosciuta l’invalidità civile.
Dal Rapporto emerge inoltre una Italia a più velocità, dove
l’assistenza farmaceutica, quella protesica, così come l’assistenza domiciliare
e la riabilitazione sono erogati a macchia di leopardo. Anche i
percorsi diagnostici terapeutici e i registri di patologia (che indicano
il numero di pazienti, suddivisi per patologia e regione di residenza) sono
poco diffusi e segnalati principalmente al Nord. Il 61% delle Associazioni
dichiara di avere difficoltà di accesso all’assistenza farmaceutica in alcune
regioni. Le principali criticità riguardano i tempi eccessivamente lunghi per
l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte dell’AIFA (50%), il costo
dei farmaci non rimborsati dal SSN in fascia C (44%), le limitazioni da parte
dell’Aziende ospedaliere o dalle ASL per motivi di budget ed i tempi di
inserimento dei farmaci nei Prontuari regionali diversi da regione a regione
(41%). Il 39% delle Associazioni, ancora, ha riscontrato l’interruzione o il
mancato accesso a terapie perché particolarmente costose.
“Ritardare o rinunciare alle cure necessarie, perdere il posto di
lavoro, confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le
discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni socio sanitarie è ciò
che vivono sulla propria pelle i cittadini grazie ad anni di politiche di
disinvestimento del Welfare e di erosione dei diritti. Non possiamo
accettare che per “fare cassa” si continui a smantellare il SSN o peggio ancora
a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e all’inclusione
sociale – commenta Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale
per i diritti del malato e responsabile del CnAMC di Cittadinanzattiva
– Chiediamo al Governo e al Parlamento un’azione concreta, a partire dalla
Legge di Stabilità in discussione, eliminando l’insopportabile misura prevista
dalla L. 214/2011 e dal nuovo regolamento ISEE secondo cui i trattamenti
assistenziali come indennità di invalidità civile e di accompagnamento sono
considerati “fonti di reddito” e quindi da considerare nel computo dei redditi
familiari. Chiediamo inoltre al Governo e alle Regioni di avviare un confronto
anche con le Associazioni di cittadini e di pazienti sia sul Patto per la Salute, sia sulla prossima
Spending review, che rappresentano le vere partite per il nostro Servizio
Sanitario Nazionale. Non vogliamo infatti correre il rischio che queste misure
possano comportare un’ulteriore compressione di tutele e di diritti”.
Ufficio Stampa Help Consumatori
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