venerdì 14 aprile 2023

Cefalea: e se utilizzassimo le piante per sconfiggerla? La ricerca scientifica ci darebbe ragione

 



Perchè si ritorna in maniera quasi ridondante a parlare del mal di testa stavolta sotto forma di cefalea? Perchè la popolazione dei cefalalgici e di tutti quelli che soffrono occasionalmente e peggio ancora sistematicamente di mal di testa è enorme, in tutto il mondo. Senza nulla togliere alla farmacologia in uso nel contrasto di queste patologie, occorre ricordare che i farmaci di sintesi a volte, non solo e non sempre raggiungono l’obiettivo agognato, offrendo un beneficio effimero, ma quel che certo è, che i farmaci presentano il loro rovescio della medaglia che è rappresentato dagli effetti collaterali e sopratutto nell’utilizzo contro le malattie croniche tali eventi avversi, potrebbero non ritardare a presentarci il conto da pagare e spesso pure salato!

A darci una mano in tal senso, ovvero, nel considerare il mal di testa, la cefalea nelle diverse forme, e se non generata da altre più gravi patologie, ci ha pensato già 5 anni fa il Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo(Isafom-Cnr) e Istituto di scienze neurologiche (Isn-Cnr) che si sono interessati all’argomento con uno studio sui rimedi vegetali usati dalla medicina popolare italiana tra il XIX ed il XX secolo. La ricerca è stata pubblicata sul Journal of Ethnopharmacology.

Lo studio scientifico è quanto mai interessante perché ha puntato un faro sulle conoscenze che oggi abbiamo riguardo le proprietà farmacologiche detenute da molti vegetali, osservando come quasi 8 piante su 10, già utilizzate in tempi remoti, detenevano dei composti organici sotto forma di metaboliti secondari insiti nella pianta stessa. Tali metaboliti si è visto e senza ombra di dubbio ormai, presentano quell’attività antinfiammatoria, oltre che analgesica che di norma si annette ai farmaci di sintesi e che quindi funzionano egregiamente nel contrasto ad esempio della cefalea. Secondo Giuseppe Tagarelli dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Isafom-Cnr). 

“Componenti organici quali flavonoidi, terpenoidi, fenilpropanoidi sembrano poter bloccare, in vivo, i mediatori chimici coinvolti nell’insorgenza delle cefalee. Ad esempio, i diterpeni estratti dal girasole, dal sambuco e dall'artemisia agiscono sulle cavie come i FANS, i farmaci antiinfiammatori non steroidei che solitamente si assumono contro le cefalee, oltre che per ridurre lo stato infiammatorio in patologie articolari, reumatologiche e muscolo-scheletriche. Questi metaboliti secondari sono infatti in grado di bloccare la produzione degli enzimi che favoriscono la biosintesi delle prostaglandine, mediatori dell'infiammazione”.
La cosa bizzarra è, se vogliamo utilizzare quest’espressione, che sopratutto nel secolo scorso e nell’attuale, si è fatto e si sta facendo sempre un uso quanto mai indiscriminato di farmaci di sintesi richiedendo ad essi la soluzione ad ogni problema, quando in natura e già a partire dal V secolo a.C. già Ippocrate, Plinio il Vecchio, Dioscoride, Galeno e Sereno Sammonico ben sapevano come, almeno una pianta si e una no, detiene sostanze intrinseche rivelatesi determinanti nel contrasto della cefalea. E’ del tutto ovvio che il grado di conoscenza che questi personaggi del tempo detenevano, era sicuramente ascrivibile ad una consapevolezza di tipo empirico rispetto ad oggi, non foss’altro per la mancanza, all’epoca, di strumenti diagnostici e di ricerca inesistenti ai tempi. Tuttavia è importante sapere che già allora si sapeva quale pianta utilizzare, per il suo contenuto di sostanze attive, nella lotta alla cefalea, con risultati sicuramente apprezzabili.

Così come in epoca attuale, il premio Nobel per la medicina 2015, YouyouTu, ha osservato come l’artemisina, estratta dall’Artemisia annua, pianta storicamente usata dalla medicina tradizionale cinese per la cura della malaria è oggi considerata la molecola più efficace per guarire da tale parassitosi”. Tutto ciò a dimostrazione del fatto, che un attento studio sul mondo che ci circonda e sulla natura in particolare ci dimostra che, forse, la risposta a gran parte delle nostre malattie vada ricercata proprio nella natura stessa e quindi dai vegetali dovremmo rintracciare la giusta terapia per le patologie che affliggono l’esistenza. Ciò non significa abbandonare tout court i farmaci di sintesi che hanno salvato e ancora salvano tante vite e mitigano tante sofferenze di sicuro. Significa invece che non vi deve essere competizione fra chi ricorre alla farmacologia classica e quindi utilizza la chimica nella ricerca di un farmaco e chi ritiene che le stesse proprietà possano essere ricavate dalle piante e quindi dalla natura. Dalla sinergia delle due conoscenze ne trarremo beneficio tutti nella cura delle malattie che affliggono l'umanità intera.
Fonte: CNR

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