venerdì 23 giugno 2023

Artrite reumatoide: una cura non farmacologica parrebbe offrire incoraggianti risultati


 

Prima di assistere agli sviluppi di uno Studio scientifico effettuato su una popolazione di pazienti affetti da artrite reumatoide che hanno beneficiato di un trattamento mediante intervento sul nervo vago, vediamo brevemente cosa di fatto sia in effetti il nervo vago. Tale nervo ha una denominazione di origine latina che lo indica come nervo “vagabondo”, da qui il termine vago. Perchè vagabondo? Perché in effetti il vago appartiene ai nervi cranici, all’interno di 12 coppie di nervi, che a differenza di tutti gli altri, ha un’importante caratteristica, quella di abbandonare il sito di origine anatomica, nella sua collocazione, diramandosi verso il basso.

Non è cosa da poco questa caratteristica del nervo vago, perché spiega anche la particolarità di molte malattie psicosomatiche che originano dal cervello ma che si evidenziano, sotto forma di patologie, in diversi distretti dell’organismo, in primis il digerente, ecco spiegata la relazione a livello psicologico di certe forme dispeptiche e/o gastropatiche, quando ci ricordano che, ad esempio, il nostro organo bersaglio è l’apparato digerente, sede delle ansie e dello stress quotidiano. Ma la stessa cosa può verificarsi a livello epidermico, a livello respiratorio, persino a livello cardiaco. Quindi, forse è eccessivo immaginare un’infiammazione del nervo vago, ma stigmatizzare il fatto di essere affetti da una sindrome vaso-vagale, che poi si presenta con affezioni di organi o apparati interi a livello patologico, è tutt’altro che banale.

Dopo questa debita premessa volta a meglio comprendere il ruolo che gioca il nervo vago sulla nostra salute, andiamo allo studio scientifico che ha voltuo mettere in relazione tale nervo con una delle più gravi malattie autoimmuni, l’artrite reumatoide. Sappiamo che oggi, l’approccio alla malattia rispetto al passato prossimo, è sicuramente costellato da più successi terapeutici, pensiamo ai farmaci biologici che assunti all’esordio della patologia la fronteggiano sicuramente meglio dei farmaci che si utilizzavano, in assoluto, fino ad un trentennio fa, sopratutto gli immunosoppressori, anche al riparo dagli effetti collaterali di quest’ultimi. Ma per rendere ancora più soft l’approcio terapeutico nei confronti della patologia, un gruppo di ricercatori ha sperimentato un dispositivo, appositamente impiantato, in grado di stimolare il nervo vago in quei pazienti che erano affetti da forme moderati o gravi della malattia. I pazienti chiamati in causa avevano un’età compresa fra i 18 e gli 80 anni, segno evidente che l’artrite reumatoide è comune anche fra i giovani, sopratutto nelle donne. Tali pazienti erano già in cura con farmaci antireumatici, compresi, per alcuni di loro, i biologici. A coloro che assumevano i biologici è stato chiesto di sospenderli un mese prima dell’esperimento che è consistito nell’assegnazione di un dispositivo non invasivo atto a stimolare il nervo vago con un trattamento di non più di mezz’ora al giorno. Tale dispositivo emetteva impulsi pari a 20 kHz. Lo studio ha previsto un controllo di questi pazienti dopo una settimana di trattamento, dopo 2,3,4,8 e 12 settimane. I pazienti arruolati, tutti spagnoli, erano 35, disposti in sei centri. Il risultato è stato quello di assistere ad un 53% di pazienti che ha avuto un miglioramento della malattia in ragione di un 20%, 10 pazienti hanno ottenuto un miglioramento pari al 50% e solo il 17% dei pazienti ha ottenuto un miglioramento pari al 70%. Tutto ciò accadeva dopo 12 settimane dall’inizio del trattamento. 

Sono stati segnalati 4 eventi avversi, nessuno dei quali grave, infatti, tutti si sono risolti senza intervento. Tali miglioramenti non erano solo funzionali, cioè i pazienti avvertivano meno dolore alle articolazioni più interessate dalla malattia, così come minor perdita funzionale dell'uso degli arti superioriori e inferiori, ma miglioramenti si sono visti anche rispetto a valori ematici come, ad esempio, la PCR, la Proteina C Reattiva, che dopo il trattamento risultava più vicino ai valori di norma. Ovviamente parliamo di un studio molto limitato, nel tempo e nel numero dei partecipanti, ma è d’auspicio aver visto dei risultati che andranno anche analizzati negli anni, oltre all’ottima tollerabilità dimostrata dal trattamento. 

Risulta del tutto ovvio, comunque, che è quanto mai necessaria un'ulteriore valutazione e studi più ampi e controllati per confermare se questo approccio non-invasivo possa offrire un trattamento alternativo o integrativo alle attuali cure farmacologiche e non, per l'artrite reumatoide, così sarebbe anche interessante sapere se lo stesso trattamento possa essere esportato anche per altre malattie autoimmuni con esiti invalidanti.

Fonte: ( Xagena2 ) - Marsal S et al, Lancet Rheumatology - Reuma -  Neuro


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