venerdì 3 marzo 2023

Artrite reumatoide: studio dello stato vitaminico nella cura e diagnosi della malattia

 



Sull’artrite reumatoide si conosce molto di più di quanto già si sapeva appena due decenni fa. Intanto specifichiamo che ci si riferisce ad una patologia cronica che colpisce l’1% della popolazione nel mondo, in Europa l’incidenza è più bassa rispetto ad esempio agli Stati Uniti, per essere ancor più bassa nella parte meridionale ed occidentale del Vecchio Continente. Altro dato importante, quando si parla di artrite reumatoide, è l’incidenza maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Fermo il dato che le donne tendono ad ammalarsi in età più avanzata rispetto agli uomini. Fattori ambientali e genetici sembra abbiano un ruolo quasi determinante sull’insorgenza di questa patologia autoimmune.


Una delle maggiori conoscenze che si hanno oggi sull'artrite reumatoide, ad esempio, è la consapevolezza che i danni ad organi vitali, in particolare a livello cardiovascolare, sono spesso derivanti proprio dalla malattia e non solo dai farmaci utilizzati per contrastare l' esacerbazione dei sintomi della patologia stessa.

Che oggi l’approccio diagnostico nei confronti dell’artrite reumatoide sia molto più avanzato rispetto al passato è cosa ben nota, così come le stesse cure per fronteggiare la malattia, si pensi ai nuovi e sempre più sofisticati farmaci biologici utilizzati, consentono un miglioramento certo della qualità della vita del paziente. Resta tuttavia da capire però come mai, nonostante i tanti progressi fatti dalla medicina, in tutta l’Unione Europea, presa in esame, le prime cause di disabilità nel Vecchio Continente, in qualche caso persino di invalidità permanente,sono in larga parte ascrivibili a disturbi muscoloscheletrici che derivano in larga parte dall’artrite reumatoide. Quello che oggi sembra essere definitivamente acquisito ce lo da l’evidenza di come l’aterosclerosi e l’artrite reumatoide condividano un forte interessamento infiammatorio anche a livello endoteliale nei vasi, ne deriva che il paziente affetto da artrite reumatoide può presentare insieme anche patologie cardiovascolari. Ovvio che tale situazione ha ricadute pesanti per quanto riguarda i costi sociali ed economici dei diversi sistemi sanitari. Ma in questa sede ci sembra più importante indagare sui danni e sulle ricadute psicologiche che una malattia di questa portata determina sul malato

Gli attuali biomarcatori più utilizzati

Attualmente per giungere ad una diagnosi certa di artrite reumatoide si utilizzano due importanti biomarcatori, il fattore reumatoide (FR) e l'anticorpo proteico anticitrullinato (ACPA). A seguire si utilizzano un gran numero di altre indagini per focalizzare la grave patologia cronica. Eppure solo 7 pazienti su dieci presenta un aumento di questi due biomarcatori, al punto che ne esistono degli altri che si associano ai primi due. Quel che manca, a parere di molti studiosi della materia, è la possibilità di trovare anche ulteriori biomarcatori specifici che mettano poi il medico nelle condizioni di agire nelle diverse forme della grave malattia autoimmune, atteso che non tutti i casi di artrite reumatoide possono essere inseriti in un unico gruppo, visto che ogni paziente presenta diversi stadi della malattia, diversi momenti della stessa, diversi aspetti della sintomatologia che non consentono spesso un facile inquadramento della malattia stessa. Ne deriva che nella diagnosi di Artrite reumatoide i criteri clinici sono quelli ancora più utilizzati. E questo probabilmente perchè, come si diceva, mancano ancora altri biomarcatori specifici più sofisticati, nonostante si disponga di indicatori moderni, ma che non hanno tuttavia ancora dato la possibilità di indagare in toto sulla malattia, sul reale decorso e sulla sua vera eziologia.

Ulteriori biomarcatori che si aggiungono alla diagnosi

Partendo dal presupposto che in questa patologia si assiste ad una comorbilità accertata, risulta quanto mai utile, un’intuizione che i ricercatori hanno avuto nei confronti di questa patologia. Tale intuizione ha indotto gli studiosi a ricercare i livelli di omocisteina (Hcy) nel sangue di quei pazienti che potrebbero essere prima o poi interessati alla malattia o ne presentano i sintomi. Tutto ciò in considerazione del fatto che da diversi anni si è visto che l’aumento della concentrazione nel sangue di un amminoacido contenente zolfo, come la omocisteina, insieme all’aumento della PCR (Proteina c Reattiva) sia il segno di una alterazione della funzione vascolare e quindi, potrebbe essere un segno che la patologia si stia facendo strada nel malato o si sia già radicata, pur presentando ancora sintomi sfumati.  Ma poiché non è ancora del tutto certo che basti solo un aumento dei valori di omocisteina del sangue per fugare ogni dubbio sulla certezza di essere affetti da artrite reumatoide, i ricercatori avrebbero stabilito che se l’aumento della omocisteina è associato anche ad una carenza vitaminica, entrambi i dati possono essere predittori non solo della patologia, ma anche dell’aumento di rischio per complicanze vascolari che ascendono alla malattia stessa. Oltretutto il dato acquisito è stato ritenuto quanto mai utile per constatare come il paziente reagisca alla malattia in base al trattamento farmacologico ricevuto e se vale o meno il caso di modificare l’approccio terapeutico o la stessa posologia dei farmaci somministrati.

Lo studio scientifico

Lo studio che ha portato alla scelta di biomarcatori aggiuntivi correlato ad un aumento di un amminoacido associato ad un deficit vitaminico è seguito ad uno studio scientifico approvato dal Comitato Accademico e Scientifico di Etica e Deontologia dell'Università di Medicina e Farmacia di Craiova (Registrazione n. 32174/2019) secondo le Linee Guida dell'Unione Europea (Dichiarazione di Helsinki).

Risultati dello Studio scientifico

I risultati ottenuti dimostrano che i livelli di omocisteina nel sangue e di PCR sono predittori dello stato infiammatorio cronico e un indice di complicanze anche cardiovascolari. Integrando tuttavia, mediante integratori, acido folico e vitamina B12, si è assistito ad un abbassamento dei valori di omocisteina nel sangue. Ne deriva che non solo bassi livelli di vitamina B12 e acido Folico siano predittori della malattia e delle complicanze della stessa, orientando anche le cure da attuarsi, ma addirittura l’integrazione di queste vitamine capaci di abbassare i livelli di omocisteina del paziente concorrerebbe al miglioramento della prognosi. Abbiamo dimostrato che gli integratori di acido folico e B12 sono importanti per abbassare il livello di Hcy e quindi, nella diagnosi della malattia la ricerca dei valori di acido folico e vitamina del complesso B dovrebbero essere aggiunti a tutti i biomarcatori metabolici ricercati, insieme all'Hcy per prevedere il decorso della malattia. Questo è stato il parere degli studiosi intervenuti al Congresso.

Decorso della malattia

E’ importante ricordare che una corretta e tempestiva terapia da applicare, può scongiurare le peggiori complicanze derivanti dalla patologia, compresi i danni permanenti patiti dal paziente e persino la mortalità precoce. Ciò in quanto mai come adesso si è stabilito che l’approccio non deve essere limitato alla cura dell’artrite reumatoide ma anche a quelle patologie che si associano alla malattia stessa.

Oggi nella cura dell’artrite reumatoide si fa riferimento non solo ai farmaci, ma anche alle diete, all’esercizio fisico e alle sostanze naturali utilizzate sotto forma di farmaci vegetali. In passato ci si affidava solamente ai glucocorticoidi che però, dopo un primo periodo in cui si assistiva ad una remissione della sintomatologia con un miglioramento della qualità della vita del paziente, mostrava tutti i limiti di questa scelta terapeutica anche per gli effetti collaterali che ne derivavano. Stessa cosa per quanto concerne tutti gli immunosopressori utilizzati, compresi alcuni farmaci oncologici “prestati” alla cura dell’artrite reumatoide.

Ne deriva pertanto che, anche a seguito dello studio condotto dai ricercatori, l’attuale terapia, basata sopratutto sui farmaci biologici non puo’ esimersi dall’uso di vitamine del gruppo B insieme all’acido folico.

Fonte: National Center for Biotechnology Information - Ricercatori: RR Mititelu , MV Bacanoiu , AM Buga , V. Padureanu , A. Barbulescu



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