Un killer silenzioso e subdolo, il virus
responsabile dell’epatite C, tanto ambiguo perché si insinua nella vita del
paziente senza di fatto causare inizialmente i sintomi della malattia, se
escludiamo una sintomatologia sfumata e riconducibile per lo più a quel senso
di stanchezza giustificato con lo stress di ogni giorno, visto che parliamo,
per quanto attiene i primi sintomi lamentati dal paziente, di una leggera
febbre, sporadici mal di testa, nausea,
senso di svogliatezza e perdita dell’appetito.
Ma il pericolo rappresentato
dall’epatite C sta proprio nel confondere medico e paziente circa la gravità
dell’infezione che va facendosi strada nell’individuo in forme via, via, sempre
più nefaste. Oltretutto, a rendere più inquietante il quadro, come se non
bastasse, ci si mette anche l’estrema facilità con cui è possibile infettarsi, considerato
che il virus si fa strada nell’individuo con il sangue infetto e se pensiamo
alla facilità con cui questa situazione sia verificabile ci rendiamo conto che
quando ci troviamo di fronte ad un malato di epatite C non dovremo solo
immaginare il tossicodipendente che abbia condiviso una siringa infetta, né il
trasfuso che ha ricevuto una sacca ematica anni fa prima dei controlli previsti
dalla Legge. Basta molto meno per contrarre la malattia, un rasoio da barba,
una lametta, un ferro chirurgico non sterile, solo per citare alcuni dei
veicoli di trasmissione del virus, sono più che sufficienti per ammalarsi di
epatite C.
Di contro bisogna anche sfatare quella
paura che alberga in molti e che fa si che ci si convinca di potersi infettare anche con un rapporto sessuale con
persona infetta. Tale evenienza è del tutto rara, così’ come è importante
ricordare che la malattia mostra i suoi segni a distanza di diverso tempo,
anche anni, dalla possibile infezione, un periodo sicuramente lungo, dopo il
quale, l’evoluzione della patologia può divenire più veloce, insieme ai
temibili danni che il virus è in grado di arrecare ad organi quali il fegato,
compresa la temibile cirrosi fino al tumore al fegato. Da ricordare che un
malato di epatite C, diventa a sua volta in grado di trasmettere ad altri egli
stesso la malattia.
Le
terapie e i nuovi farmaci contro il virus dell’epatite C
Oltre ai tradizionali farmaci impiegati
nei confronti dell’epatite C, è stata sperimentata recentemente una nuova
molecola che pare accendere le speranze
di coloro che con la malattia devono farci i conti ogni giorno. Ci riferiamo al Telaprevir previsto con
combinazioni posologiche diverse a seconda della gravità della malattia.
L’ultimo studio, in ordine di tempo, che ha previsto protocolli terapeutici con
Telaprevir ha dimostrato che l’efficacia del farmaco è possibile dimostrarla in
otto casi su dieci. Lo studio ha riguardato 161 pazienti a cui erano stati
somministrati 1.125 mg due volte al dì, per quanto riguardava una parte dei
pazienti, mentre l’altro gruppo veniva trattato prevedendo una posologia di 750
mg tre volte al dì. Alla terapia con Telaprevir si associavano farmaci quali
PegInterferone alfa-2°, Peg Interferone e Ribavirina.
I buoni risultati ottenuti che
riferiscono una guarigione nell’82% dei casi con una posologia di una compressa
due volte al giorno, fino all’85% per quei pazienti che assumevano il farmaco
tre volte al giorno, si sono osservati a distanza di sei mesi dalla prima
somministrazione della sostanza farmacologica, senza aver manifestato questi
pazienti effetti collaterali degni di rilievo alcuno, tuttavia riferiti a
blanda cefalea, prurito, nausea, anemia, rash e una sintomatologia che parrebbe
ricondursi ad una simil influenza. Pochissimi i casi di effetti collaterali più
impegnativi che propendono per la sospensione del trattamento, con una
percentuale del 3% per gravi fenomeni di rash
cutaneo e del 2% per grave anemia.
Fonte: Vertex Pharmaceuticals, 2009
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