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Mai affezione più diffusa è stata definita in così tanti modi diversi; colon
spastico, colite mucosa, diarrea funzionale o nervosa; eppure, parliamo
del colon irritabile, che, la moderna medicina, oggi,
preferisce definire come ” sindrome dell’intestino irritabile“. La diffusione nella popolazione è larghissima e tantissimi sono i fattori
esterni che influiscono su questa affezione dell’apparato gastroenterico che è
causata da una motilità eccessiva e anormale sia del colon e, a volte,
dell’intestino tenue; ecco perché si è deciso di chiamarla in altro modo. Una cosa è certa, chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile, può
accusare disturbi, periodicamente nel corso dell’anno, isolatamente, o associati
a particolari pasti, o particolari periodi di stress, o in concomitanza
dell’assunzione di taluni farmaci.
Ecco perché, il medico, chiamato ad
esprimersi su questa patologia, a volte, sembra non prestare la giusta
attenzione al disturbo in se e per se, al punto da sembrare distratto di fronte
a ciò che gli raccontiamo riguardo a quanto accusato. Non certo per
indifferenza, quanto invece, da parte del professionista, nel tentativo di
escludere tutta una serie di altre patologie la cui espressione sintomatologica
potrebbe coincidere, sovrapponendosi, con i sintomi che dettagliamo e questo,
sarà il compito precipuo del paziente; collaborare col medico per giungere ad
un inquadramento certo di ciò di cui ci lamentiamo. E, nel farlo, dovremo
fornire al nostro medico, un’anamnesi quanto più corretta possibile e soprattutto
ricca di particolari che, a prima vista, potrebbero sembrarci banali, ma che
invece rivestono un grande significato diagnostico.
Sintomi
Sulla base di tutto ciò, il medico, verificato che dai primi sintomi non si
sia lamentato negli ultimi periodi un importante calo ponderale, passa alla
visita vera e propria che, inizia, con una palpazione, generale, in sede
addominale, che nel paziente coincide, spesso, con il dolore laddove si viene
palpati con maggiore decisione, soprattutto in determinate aree dell’addome.
Del resto, la distensione addominale, accompagnata da dolore,
la presenza di aria nell’intestino, le eruttazioni,
il senso di pesantezza allo stomaco, spesso anche a distanza
dei pasti, la nausea e, a volte, persino il vomito, così come,
l’evidenza di feci con muco, accompagnata, non
infrequentemente, da un disturbo lamentato dal paziente che consiste nel dover
tornare in bagno dopo una prima evacuazione, senza che nella precedente vi sia
stata la diarrea, sono i sintomi più riferiti, nella generalità dei casi di
questa affezione.
E, a proposito della diarrea, questo è un sintomo importante e controverso,
nella sindrome dell’intestino irritabile, visto che, spesso, i pazienti
lamentano stipsi e diarrea, in momenti diversi della giornata,
oppure, stipsi la mattina, appena svegli e diarrea nel corso della mattinata.
Ma i sintomi di questa affezione, non è detto che si esauriscano solo in sede
intestinale, sovente, si lamentano disturbi che sono al di là dell’intestino;
dunque, cefalea, impellente bisogno di urinare in grande quantità,
parestesie ad uno o più arti, vertigine e dismenorrea, nelle donne,
sono situazioni che possono coincidere con la sindrome dell’intestino
irritabile, una affezione, “capricciosa” , che a volte guarisce spontaneamente,
persino senza farmaci, o dopo utilizzo di sostanze terapeutiche di scarso
significato, per poi riacutizzarsi a distanza di tempo e, imprevedibilmente….Insomma, da ciò si evince che le tante sfaccettature di questa affezione,
rendono, da parte del medico, accurate indagini volte ad escludere patologie di
più serio significato, pensiamo al Morbo di Crohn, alla celachia, ad eventuali patologie
pancreatiche e, addirittura, persino ai tumori dell’intestino, ciò
giustifica, da parte del proprio medico di famiglia o dello specialista
chiamato ad esprimersi, il ricorso ad analisi ematiche ed eventualmente, delle
feci.
Decorso clinico e approccio terapeutico
Accertata l’affezione, la sindrome dell’intestino irritabile ha un decorso cronico e, spesso, imprevedibile, ma, soprattutto, individuale e soggettivo al massimo. Ciò giustifica un approccio terapeutico diverso di fronte ad una sintomatologia tanto variegata e personale per ogni paziente.
La terapia dietetica, farmacologica, la psicoterapia, fino all’agopuntura,
sono tutti approcci che, singolarmente o insieme, possono essere previsti nei
protocolli per affrontare l’affezione in ogni sua manifestazione, tutti presidi
miranti a normalizzare un intestino che non fa bene il proprio “lavoro” a causa
di una sequela di fattori, anche esterni, la cui regolazione, a volte, è
sufficiente per guarire dalla sindrome. Così si spiega il ricorso alla
psicoterapia, volta a sanare eventuali comportamenti paradossali, nei confronti
del mondo esterno che, alla lunga, finiscono per avere effetti, anche e non
solo, sul nostro intestino.
Più comune e nella generalità dei casi, è invece, l’approccio farmacologico,
quasi sempre, volto, comunque, a curare i sintomi più penosi lamentati; antidiarroici
per controllare la diarrea che rischia, alla lunga, di compromettere la
vita sociale del paziente e di stressarlo anche da un punto di vista fisico,
farmaci in grado di limitare la formazione di aria intestinale, regolatori
della motilità dell’intestino, finalizzati a togliere quel senso di
pesantezza, nausea e a volte il vomito, lassativi, per combattere la
stipsi, antispatici per lenire il dolore addominale, a volte molto
persistente e violento, ansiolitici per spegnere l’ansia accumulata,
nel tempo, che si riverbera, in un circolo vizioso,nella sequela di sintomi che
accompagnano questa affezione. In ogni caso, comunque la si affronti, la
sindrome dell’intestino irritabile, non può prescindere, almeno nelle sue prime
fasi, dal ruolo centrale che ha la figura del proprio medico di famiglia, fatto
più semplice, quando il professionista conosce già il paziente e sa come questi
affronta non solo le malattie, ma gli eventi della vita, più difficile quando
il medico è all’oscuro di tutto ciò, perché non ci conosce e dovrà farsi
un’idea di noi, sulla base di una prima visita che, per questo, sarà quanto mai
dettagliata e puntigliosa.
Una cosa è certa, una volta diagnosticata la sindrome dell’intestino
irritabile, è bene sapere che ci si dovrà abituare a convivere con l’affezione
stessa, aiutato, certamente dai farmaci, soprattutto nei periodi di acuzie, ma
sperare di debellare, definitivamente e per sempre, questo disagio è pura
utopia e, a seguito di studi condotti, 3 pazienti su 10, imparano,
immediatamente, che questa è la loro realtà futura e, spesso, basta
l’allontanamento di quei fattori di stress intervenuti nel corso della vita,
per risolvere al meglio i sintomi più fastidiosi. Solo una sparuta minoranza, è
costretta a ricorrere all’attenzione di specialisti psicoterapeuti o
psichiatri, soprattutto, laddove la sindrome è espressione conclamata, di più
gravi disagi o di più serie patologie, ricordiamo le depressioni,
che si conclamano con disturbi anche intestinali.
Le diete
Le diete hanno assunto un significato clinico, anche nella sindrome dell’intestino irritabile poiché si è visto che a volte, alla base di tutto, v’è un approccio col cibo sbagliato e basta correggerlo per sanare il problema. Ma non sempre e così e la stessa restrizione alimentare, dovrà essere prescritta da personale qualificato e non dal singolo paziente o dai consigli ricavati qua e là, considerato anche che, come si è visto, a volte, persino stravolgere le proprie abitudini alimentari, ha effetti importanti sull’insorgenza dei sintomi dell’affezione che vorremmo curare.
Generalmente, il primo approccio con la dieta sarà volto ad escludere quei
cibi causa di vere e proprie intolleranze alimentari, spesso
imputato numero uno è il latte e i suoi derivati, così che, l’allontanamento al
lattosio potrebbe essere sufficiente per regolarizzare l’intestino.
E’ provato che questo provvedimento, ha successo nella metà dei pazienti.
Allo stesso risultato vi si giunge con l’allontanamento di eventuali spezie
aromatiche, quando non sia il latte responsabile dell’affezione, oppure, dopo
eliminazione di bevande come il vino o la birra, o, ancora, di alcuni
crostacei, o verdure, come la lattuga, ad esempio,oppure i pomodori, alcuni
legumi, fagioli in testa, le mousse; insomma, se si riesce ad individuare
l’alimento che gioca un ruolo nel disturbo, le speranze di guarire, del tutto,
sono alte.
L’approccio terapeutico con la dieta, invece, al di là delle intolleranze
appena viste, si basa su diversi momenti e in questo, l’esperienza del medico
gioca un ruolo importante. L’utilizzo della crusca, ad
esempio, giustificato dal fatto che la stessa aumenta il volume fecale è una
pratica attuata, ma, oggi, guardato dalla medicina in maniera controversa,
preferendo alla crusca una dieta ricca di fibre, attuata in
modo graduale per dare la possibilità all’intestino di abituarsi al cambiamento
e nel far questo, si dovrà provvedere anche ad un adeguamento del bilancio
idrico, che dovrà essere aumentato, nel tempo, fino a 1/ 2 litri in più di acqua al
giorno, a seconda dei casi e, soprattutto, quando si accusa stipsi.
Concludendo, come si vede, la sindrome dell’intestino irritabile è tanto
differenziata, da soggetto a soggetto, che è impossibile istaurare un regime
dietetico, una terapia farmacologica o comportamentale, unica per tutti,
tutt’altro; mai come in questa affezione, ogni paziente risponde in maniera,
diametralmente opposta, spesso, ad un altro. Persino la medicina, intesa come
scienza, non è unanime nel ritenere, efficaci, determinati farmaci utilizzati
per questa sindrome, pur con l’evidenza di un miglioramento dei sintomi nei
pazienti dopo l’assunzione dei maggiori preparati farmacologici utilizzati.
Ciò ci induce a pensare ed ad avvalorare che la componente psicologica
entri, quasi sempre, nella sindrome dell’intestino irritabile e che, a volte,
persino spegnere un sintomo sia sufficiente ad indurre un benessere nel paziente al
punto da lasciare alle sue potenzialità il compito di allontanare, del tutto o
quasi, l’affezione.
Una cosa è certa, il ricorso al medico, di fronte a problematiche
dell’intestino, di qualsivoglia natura, è “obbligatorio” e il giusto rapporto
intercorso fra medico e paziente, mai come in questi casi, assume quella
rilevanza fondamentale nel miglioramento dei sintomi lamentati, così come è
fondamentale escludere, nella maniera più assoluta, il ricorso al “fai da te”,
per via del rischio di croniccizzare ancor di più una affezione, che, comunque
la si affronti è, sicuramente contraddistinta, in primis, dal suo carattere
cronico e da episodi di forma acuta, molto ricorrenti e, a volte, persino,
penosi.
Fonte: Terapia Medica – Autori vari – Piccin Editore
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