In molti lo chiamano piccolo ictus, per qualcuno è, a ragione, un importante campanello d’allarme che prelude la possibilità di un ictus a breve. Stiamo parlando del TIA (Transient Ischaemic Attack), ovvero un attacco ischemico transitorio, segno che si è verificato a livello cerebrale, a seguito di un’ostruzione, ad esempio, oppure a causa di un improvviso sbalzo pressorio, una momentanea mancanza di sangue che si è risolta spontaneamente nell’immediato, non senza per questo determinare reliquati anche importanti ma che di norma sono reversibili.
Dunque, un TIA è un evento importante che non dovrà da parte del paziente essere mai trascurato per due motivi di fondo. Il primo motivo sta nel fatto che l’evenienza di un attacco ischemico transitorio indica sicuramente che qualcosa nell’organismo non va, potrebbe essere un problema riconducibile ad un danno a livello del sistema circolatorio che risente di ostruzioni, per lo più di tipo aterosclerotico a livello, ad esempio, delle pareti di vasi come le carotidi.
Ma lo stesso TIA potrebbe essere dovuto ad un malfunzionamento della pompa cardiaca che a seguito di eventuali patologie insorte, quali possono essere ad esempio, le fibrillazioni atriali, finisce col “pescare” aria durante il battito irregolare del cuore che, una volta immessa in circolo, potrebbe andare ad ostruire la circolazione ematica producendo, quando va bene, un’ischemia di tipo transitorio. Ma c’è un’altra e se possibile ancora più importante indicazione medica volta alla diagnosi precoce di TIA al fine di scongiurare più gravi evenienze per il paziente. Quella che tiene conto del fatto che un TIA è, eccome, un importantissimo campanello d’allarme che può preludere il ben più grave ictus.
Oggi i medici non hanno più dubbi su quest’ultima constatazione, tant’è che, sulla base delle ultime conoscenze in possesso della moderna medicina, la possibilità di andare incontro ad un’ischemia importante che mette a repentaglio la stessa vita del paziente o apre la strada al rischio di un’invalidità permanente, è ritardata di sole 24 ore dalla comparsa di un TIA, così come, con una certa precisione matematica, chi abbia subito un primo TIA e non si sia immediatamente curato, ha un numero elevatissimo di andare incontro ad un ictus, nel caso l’evenienza non si sia palesata prima, nel volgere di un anno dal primo accadimento. Ne deriva che di fronte al rischio di incorrere in un evento drammatico dagli esiti spesso infausti, come quelli determinati da un ictus, diviene centrale l’opera dei medici presso un centro specializzato ove monitorare il paziente ed intervenire per cercare di prevenire il peggio. Ma c’è un fatto davvero sorprendente nella nostra Società nonostante la comunicazione abbia avuto il sopravvento divenendo un momento importante di divulgazione di notizie a volte persino indispensabili per mantenere alta l’attenzione nei confronti del bene più prezioso cui disponiamo, la salute.Ancora adesso la gente tende a minimizzare l’importanza e la stessa gravità di un TIA, in parte perché non riesce a riconoscerlo, in larga misura perché, pur riconoscendolo, è portata a tirare un sospiro di sollievo immaginando che di fronte ad un ictus che avrebbe potuto rischiare è riuscita a scampare il peggio, andando incontro solamente ad un evento transitorio e null’altro.
Il risultato è che molti di quei pazienti nell’arco delle 24 ore successive al TIA sono andati incontro ad un fatto ischemico più importante, come appunto può essere un ictus, a seguito del quale, magari, è pure deceduto. Lo dimostra anche uno studio condotto da un gruppo di studiosi britannici che ha valutato il grado di attenzione da parte della gente nei confronti di un TIA, mediante una ricerca pubblicata sulla rivista ‘Stroke: Journal of the American Heart Association’. È amaramente sorprendente come si tenda a minimizzare il problema sottovalutandone le conseguenze quasi sempre drammatiche e c’è di più, l’atteggiamento è condiviso da pazienti di tutte le età e appartenenti a strati sociali della popolazione diversi.
Il gruppo di studio britannico ha analizzato 1.000 pazienti di età media di 73 anni, dei quali 459 avevano avuto piccoli attacchi ischemici e 541 ictus minori. Rispettivamente il 68% e il 69% dei pazienti non avevano individuato quale fosse la patologia alla base dei loro sintomi, col risultato che soltanto la metà è andato al pronto soccorso entro tre ore, un tempo in cui alcuni farmaci possono evitare danni più gravi. Un terzo di coloro che hanno preso parte allo studio si è rivolto all’ospedale più di 24 ore dopo i sintomi, rischiando le conseguenze drammatiche di un ictus successivo.
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