L’infarto cardiaco, più precisamente
la cardiopatia ischemica, è la prima causa di morte nei Paesi più evoluti e per
quanti sforzi si facciano per trattare farmacologicamente il paziente andato
incontro ad un evento così tanto grave, per quanto impegno la medicina dedichi
alla cura dello scompenso cardiaco, non si è ancora giunti alla scoperta di
quel o quei farmaci che possano agire in modo del tutto soddisfacente nel
riportare il paziente alla normalità.
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Tuttavia recentemente a seguito di due
studi scientifici condotti da Antonio Baldini
e Gabriella Minchiotti, rispettivamente direttore e ricercatrice dell’Istituto
di genetica e biofisica ‘Adriano Buzzati Traverso’ (Igb-Cnr) di Napoli,
annettono alle cellule staminali il cammino da seguire per giungere alla
risoluzione di un evento tanto drammatico quale di fatto è la cardiopatia
ischemica e non solo.
In primis si parla di proteine ed
in particolare della proteina Cripto capace di veicolare e differenziare le
cellule staminali in cardiomiociti. Cosa significa questo. Significa che quando
impiantiamo una cellula staminale all’interno di un tessuto questo per far
funzionare l’organo sul quale è stata impiantata deve differenziarsi, ovvero,
crescere e divenire parte integrante di quel tessuto e non solo, studiando le
cellule staminali embrionali del topo si sono osservate ulteriori due inedite
molecole che sono state chiamate APJ, un recettore di membrana e ligando
Apelina su cui va ad agire la proteina Cripto che si lega ad entrambe le
molecole perfezionando la differenziazione della cellula staminale e rendendola
del tutto compatibile con il ruolo che andrà a svolgere all’interno del tessuto
cardiaco. Il lavoro apre nuovi orizzonti sia
nella comprensione dei meccanismi molecolari della cardiogenesi sia nella
ricerca sul cancro.
Lo stesso CNR contestualmente a
questo primo studio scientifico, ne ha eseguito un secondo, stavolta
riguardante la cura di due malattie rare congenite, la Velocardiofacciale e la Sindrome
di DiGeorge, entrambi malattie genetiche con ripercussioni negative a livello
cardiaco. Lo studio è stato svolto da Antonio Baldsini e la sua equipe ed è
stato pubblicato su Circulazion Research. Si è visto che a causare entrambe le
malattie è la mancanza di una proteina, la Tbx1 codificata da un particolare
gene. Un tempo si riteneva che la malattia associata a tale proteina fosse la
mutazione del suo gene, ma oggi si è invece visto che le malattie associate a
tale proteina si manifestano quando questa non viene più prodotta con
ripercussioni importanti a livello della struttura cardiaca. Ma si è anche
visto, sempre nei topi, che se si ha un eccesso di Tbx1, i progenitori cardiaci
non differenziano normalmente o differenziano troppo tardi, causando comunque
difetti cardiaci”.
“Cripto e Tbx1”, conclude il
direttore dell’Igb-Cnr, “pur agendo sullo stesso ‘lineage’ cellulare, sono due
proteine distinte nelle fasi di sviluppo. La prima agisce a monte,
durante la fase di ‘decisione’ del fato cellulare, la seconda a valle, quando
il fato cellulare è già deciso ma le cellule sono ancora immature e in grado di
differenziare i tipi cellulari del tessuto cardiaco”.
Questa ricerca permette di
iniziare a capire come si formino i cardiomiociti dalle cellule staminali
e quindi di identificare i bersagli molecolari per sviluppare terapie per la
rigenerazione del tessuto cardiaco. I laboratori dell’Igb sono impegnati a
raggiungere tale obiettivo.
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