mercoledì 2 gennaio 2019

Depressione: come una pandemia fra dieci anni, ma esistono le cure



Una malattia diffusa come una pandemia, la depressione, che colpisce nella sola Italia ben 3 milioni di persone con una percentuale di soggetti colpiti che rasenta persino il 7% della popolazione, fra casi accertati ed in corso di accertamento ed in Europa il numero giunge a livelli stellari, ben 40 milioni di pazienti affetti da questa malattia, cui aggiungere quei casi che sfuggono al controllo delle medicina. Eppure, qualcuno si ostina a ritenere questa patologia uno stato dell’umore e non una patologia a tutti gli effetti.


Ma il futuro per questa malattia è tutt’altro che roseo, se solo pensiamo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la SocietàItaliana di Psichiatria stima che nel 2030 la depressione potrebbe assurgere a prima malattia invalidante al mondo con tutto ciò che ne



consegue. Risulta quanto mai importante sensibilizzare la comunità internazionale sui temi cruciali di questa malattia. Perchè se è vero che di depressione si può guarire, vero è anche che esistono oggi i mezzi per prevenire questa triste condizione patologica dell’organismo. Per far ciò occorre che la gente sappia che parliamo di una malattia, alla stregua di malattie organiche più visibili perché contrassegnate da sintomi più palesi rispetto a quanto possa avvenire con la depressione che non si presenta con febbre, dolori fisici o quant’altro sintomi ascrivibili a quelle patologie per le quali esiste una cura tangibile. Ciò non toglie che la depressione causa grande sofferenza in chi ne è affetto e per chi si prende cura del paziente, medici, familiari e quant’altro. Per far ciò l’approccio iniziale deve essere quanto mai mirato. Non bisogna aver paura di considerare centrale il ricorso al medico di base e successivamente allo psichiatra che oggi dispone di mezzi terapeutici in grado di fronteggiare la malattia, così come di supporto dovranno essere strumenti quali psicoterapie, terapie somatiche combinate tra di loro o poste in modalità sequenziale.


Tutto chiaro, dunque? Per niente, oggi su tre malati di depressione solo uno riceve i giusti trattamenti terapeutici per il solo fatto che gli altri due pazienti stanno alla larga dagli operatori sanitari in gradi di curare la malattia, col rischio di patire la cronicizzazione della patologia e rendere più difficoltose le cure che a volte diventano persino difficilmente praticabili.


Quali sono i soggetti più a rischio di incorrere nella depressione?

Secondo la Società Italiana di Psichiatria, la depressione è più accentuata nelle persone con condizioni socio economiche e scolarità basse. Sono maggiormente esposte le persone che hanno subito abusi, bullismo, violenza, separazioni, divorzi, con

una storia familiare che li predispone o patologie croniche come diabete, ipertensione, cardiopatie, malattie endocrine e autoimmuni. Ma in questo scenario ad essere maggiormente colpito dal male oscuro è la donna, che rispetto all’uomo corre un rischio doppio di ammalarsi in determinate fasi della sua vita, ovvero, in concomitanza con il menarca, durante il periodo perinatale e nel periodo che precede la menopausa. Se poi aggiungiamo anche la depressionepost partum capiamo bene come questa malattia abbia una diffusione significativa nella donna nei diversi momenti della sua vita. Anche perché un ruolo principale in questi casi giocano gli ormoni rilasciati in misura maggiore e in maniera più disordinata nell’organismo femminile. Anche in questo caso, l’apporto del medico e dello specialista risultano efficaci nel contrasto della patologia. Ma è proprio da qui che si deve partire, non considerare più la depressione un semplice stato d’animo passeggero risolvibile con il solo allontanamento dei fattori che l’hanno scatenata. La depressione è una malattia che si cura con i farmaci insieme al protocollo terapeutico che medici, psicologi e psicoterapeuti intendono adottare. Altri rimedi sono solo palliativi che se restano tali finiscono per rendere la depressione una malattia dalle indicibili sofferenze per chi ne soffre.

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