Mens
sana in corpore sano, dicevano i latini e se immaginiamo gli effetti disastrosi
che la depressione, considerata a tutti gli effetti una malattia mentale, può
determinare sull’intero organismo, forse ci stupiamo meno di come tale
patologia sia in grado di infliggere danni, anche seri e alcune volte persino
irreparabili sull’intero corpo a cominciare dall’apparato cardiovascolare.
Lo
dimostra l’attenzione riposta dall’Istituto di Neuroscienze del CNR di Padova
che ha posto l’accento sul ruolo deleterio della depressione nei confronti
delle malattie coronariche giungendo a sostenere che la depressione marci a
“braccetto” con le gravi cardiopatie. Il
risultato è che, sempre secondo gli studiosi del fenomeno, proprio la
constatazione di come la popolazione anziana nel nostro Paese sia in crescendo
rispetto al passato e stante l’evidenza di come la malattia depressiva alberghi
in maggior misura proprio nella terza età, l’attenzione del mondo scientifico
dovrà non solo essere alta nei riguardi della depressione, ma soprattutto dovrà
tener conto di tale associazione di patologie rispondendo con interventi mirati
e specifici nei confronti di un problema di salute pubblica.
Italiani depressi, i più numerosi di tutta
Europa
Che il
problema, oltre che complesso,sia largamente diffuso, lo dimostra il dato secondo il quale la popolazione anziana d’Italia rappresenta nel confronto con
quella del resto d’Europa, la più depressa in assoluto, se solo si pensa che i
“nostri” over 65enni soffrono di patologie depressive in una percentuale che è
pari al 42% dell’intera popolazione nazionale e che nelle donne la percentuale
è ancora maggiore, potendo giungere al 52% rispetto a quella maschile rimasta a
quota 31%.
Ciò è quanto emerge da un’analisi effettuata da uno studio italiano
longitudinale sull’invecchiamento, condotta da Stefania Maggi, ricercatrice
dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche
(In-Cnr) di Padova.Tale lavoro scientifico si è espletato su 5.600 persone di
età compresa fra i 65 e gli 84 anni residenti nelle diverse zone del Paese
evidenziando bene come fosse alta la prevalenza di sintomi ascrivibili alla
depressione che risulta sensibilmente più alta rispetto al modello
anglosassone, ad esempio, confermando il dato secondo il quale in Italia la
depressione è una malattia maggiormente rappresentata rispetto al resto
d’Europa.
Insomma, a leggere bene i dati ci si rende conto di come il nostro cervello, a causa di tutta una serie di fattori sia messo sempre di più sotto stress.
Ma lo
studio padovano condotto dal CNR non era volto a stabilire il primato di un
Paese rispetto ad un altro in materia di malattie depressive in atto, semmai l’orientamento che gli studiosi hanno voluto annettere al fenomeno era quello
di stabilire se le malattie depressive avessero incidenza sulle malattie
cardiovascolari, insomma, se tale evidenza rappresentata dalla depressione mettesse a dura prova il nostro cuore e se per questo potessero essere considerati importanti fattori
di rischio al pari di quelli già noti.
A quanto pare, parrebbe proprio di si, “E’ stato infatti provato”, spiega Stefania
Maggi, “che in soggetti colpiti da infarto al miocardio la concomitante o
conseguente presenza di sintomi depressivi aumenta il rischio di progressione
della malattia e di mortalità rispetto a chi, con lo stesso quadro clinico, non
soffre di depressione. Soffrire di depressione diagnosticata o presentare
sintomi depressivi pur essendo sani espone maggiormente a rischio di malattie
coronariche”.L’analisi dell’Ilsa conferma inoltre che la sintomatologia
depressiva in età anziana aumenta significativamente la mortalità.
A questo
punto, la domanda nascerebbe spontanea, come mai una malattia mentale riverbera
i suoi effetti su organi e apparati in grado di determinare una malattia
organica? Secondo Stefania Maggi, bisognerebbe ricondurre il tutto sui fattori
biologici che intervengono sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, i primi a
subire l’attacco da parte delle malattie di tipo depressivo, cui non si può
nascondere l’altro rischio rappresentato dall’aggregazione piastrinica che già
da sola è in grado di provocare veri e propri disastri a livello
cardiovascolare, compreso, in ultimo e non certo per importanza, l’alterata
regolazione neurovegetativa del ritmo cardiaco, ovvero,l’alterazione della
frequenza cardiaca con tutte le forme di patologie annesse, dalle tachicardie alle
fibrillazioni.
Dunque, depressione e rischio cardiovascolare nel paziente
anziano dovranno essere un importante capitolo da attenzionare da parte di chi
si prende cura del soggetto anziano, prevedendo un nuovo protocollo terapeutico
che nel curare una patologia non trascuri mai l’altra, semmai preveda cure per
entrambe le malattie.

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