Che
lo yogurth faccia bene nel ripristino della cosiddetta flora batterica intestinale e
dunque partecipa nel miglioramento delle attività digestive, soprattutto quando
si assiste al depauperamento di detta flora a seguito dell’uso di antibiotici,
lo sappiamo da almeno venti anni. Si tratta di capire semmai perché tale
alimento partecipa al benessere dell’organismo, ovvero, come si può
spiegare tale beneficio per la salute che lo yogurth detiene?
Per
giungere a questa conclusione si è messo in moto un grande studio a livello
internazionale che ha coinvolto scienziati, ma anche produttori di yogurth,
senza per questo destituire di validità lo studio stesso. Il lavoro scientifico
è stato svolto da Jeffrey Gordon, microbiologo della Washington
University di Saint Louis e avrebbe dimostrato che i fermenti lattici contenuti
nello yogurth, ma la stessa cosa potrebbe valere per quei fermenti ricavati dai
cosiddetti integratori alimentari, intervengono addirittura nei geni di quei
microbi “buoni” che popolano la nostra flora batterica intestinale.
A tale
conclusione si è giunti facendo assumere ad un gruppo di volontari dello
yogurth contenente almeno cinque tipi diversi di fermenti. Lo stesso
procedimento è stato attuato nei confronti di un gruppo di topi da laboratorio
per constatare se gli intestini umani e dei topi reagiscono allo stesso modo di
fronte agli alimenti pro-biotici.
La
conclusione è stata in qualche
modo sorprendente, ciò in quanto fino adesso si pensava
che i fermenti lattici facessero bene perché ripristinavano la flora batterica
intestinale, come se la ricostituissero di fronte all’attacco di eventuali
patologie gastro-intestinali o sotto l’effetto degli antibiotici. Ma le cose
non stanno proprio così. Lo yogurth non ricostituisce, ovvero, non apporta
nessun nuovo batterio aggiuntivo, si limita ad agire su di esso, ovvero, ne
modifica l’intima struttura annessa al suo RNA, dunque agisce sugli enzimi
della flora batterica come avviene con quelli che partecipano alla
disgregazione degli oligosaccaridi, che sono zuccheri che si repertano nella
frutta e nella verdura, oltre ad aver assistito a reazioni chimiche dello
stesso tipo su altri composti dell’organismo.
Tale constatazione è seguita anche dopo aver analizzato le urine dei volontari.
E’ interessante anche segnalare un altro dato, ovvero, la certezza che sia l’intestino
degli uomini che quello dei topi ha dei tratti molto comuni che in qualche modo
assimilano i roditori con gli umani, stante il fatto che ad analoghi risultati
si è giunti osservando il comportamento dei due mammiferi.
E’ stato importante avere chiara l’azione dei pro-biotici a livello intestinale, anche perché
in futuro ci si potrà indirizzare su una dieta più specifica laddove si volesse
intervenire sul cosiddetto dismicrobismo
intestinale inteso come quell' alterazione
della composizione quantitativa e/o qualitativa della flora batterica
intestinale ma che oggi alla luce di questo recente studio potrebbe essere,
almeno in termini di linguaggio, un fenomeno in qualche modo superato, stante il
fatto che, come visto, tale evenienza non sarebbe condizionata dal numero e
dalla qualità della flora, quanto invece dall’azione negativa che la stessa ha
subito nella sua chimica dagli attacchi patologici o farmacologici. Insomma, lo
studio che, tuttavia, dovrà ancora essere del tutto confermato, al punto che si
pensa ad un’imminente replicazione dello stesso, apre ora prospettive interessanti di
cura per quelle patologie che agiscono a livello dell’intestino e di protezione
di fronte a farmaci, come gli antibiotici, che proprio nell’intestino, a volte,
arrecano disequilibri da risolversi nel più breve tempo possibile, per evitare
fastidiosi effetti avversi che sono di molti antibiotici stessi, ad esempio la
diarrea /o le coliche addominali.
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