mercoledì 3 ottobre 2012

Depressione: molte volte si scambia la tristezza per il mal di vivere


Viviamo un momento difficile, l’attuale condizione umana attraversa un confine dove la mancata serenità, la certezza per il futuro, minata da sempre nuovi eventi avversi, hanno finito per sballottolare l’animo umano all’interno di una soglia di tristezza che attanaglia sempre di più l’animo umano, ma che coincide anche con la scoperta di nuove molecole farmacologiche attive per la cura della depressione. In un ambito tanto ristretto, dove spesso è persino difficile discernere la malattia dal sintomo passeggero in un soggetto, fondamentalmente sano, si rischia di scambiare la vera depressione con la tristezza e la momentanea poca voglia di tirare avanti, col risultato di  ricorrere sempre più sovente alle cure con gli psicofarmaci.

Il pericolo a questo punto è reale ed è quello di bollare persone sane come affette, sia pure in modo reversibile, da malattie mentali. Di tale avviso è anche un’autorità nel campo delle patologie mentali quale di fatto è Allen Grances, professore emerito di psichiatria alla Duke University USA).


Il risultato è che, in linea teorica, sono aumentati a dismisura gli ammalati di malattie mentali quali la depressione e di conseguenza anche l’uso e fin’anche l’abuso di farmaci e psicofarmaci sono aumentati in maniera esponenziale, col rischio di trattare casi clinici inesistenti e, al contrario, esporsi a tutta la sequela di effetti collaterali che tali farmaci, se utilizzati in maniera incongrua, provocano. Nei numeri, un siffatto comportamento, ha significato nella sola Europa un numero spaventoso di malati di depressione, reali o “finti”, che ammontano a circa 60 milioni e se guardiamo il nostro Paese scopriamo una realtà per certi versi anche più sconcertante, con un aumento di casi che ci avvicina sempre di più al modello statunitense dove in soli dieci anni il consumo di psicofarmaci è aumentato del 300 per cento nel periodo che andava fra il 1987 e il 1997 e si è triplicato dal 1997 al 2000.

Si tratta allora di fare delle vere e proprie valutazioni e considerare se tale impennata dei consumi possa ascriversi alla voglia di medicalizzare il tutto. Il singolo periodo di tristezza che poco o nulla avrebbe a che fare con la depressione, trattato alla stregua di un fatto depressivo importante, fino a giungere alla cura di un lutto con i farmaci, anzicchè attendere di metabolizzare la sofferenza da perdita. Con lo stesso sistema si potrebbe ritenere che una quindicina di giorni di sofferenza psichica dopo un evento eccezionale e particolarmente triste debbano essere trattati alla stregua di una malattia, così come, sporadici momenti vissuti ed espressi dalla persona e manifestatisi con sintomi quali, perdita di appetito, insonnia e tensione emotiva, debbano meritare una robusta dose di farmaci antidepressivi alla stregua della malattia mentale nei confronti della quale tali molecole andrebbero correttamente impiegate.

Una cosa è certa. L’abitudine di trattare ogni sintomo con presidio farmacologico sta divenendo quasi la norma. Lo si vede al nord, soprattutto in regioni quali la Liguria, il Trentino, lo si vede al Centro Italia, in regioni come il Lazio, la Toscana, l’Emilia Romagna e l’Umbria e al Sud in Puglia, Basilicata e Molise, tutte aree del Paese dove il consumo di psicofarmaci si sta facendo importante al punto da superare quelle altre regioni d’Italia dove da sempre si è fatto un uso, a volte persino incongruo, di tali farmaci.

Segno di una Società che forse è essa stessa malata di una malattia più subdola e sottile persino della stessa depressione, quando reale. Una Società, insomma,  che tratta il disagio come una malattia, che adotta correttivi  alle normali contrarietà della vita con la medicalizzazione, tout court, di ogni sintomo. Per giungere a ciò ci si affida a potenti farmaci e importa poco sapere che uno psicofarmaco utilizzato male, rischia quasi sempre di rappresentare un problema superiore a quello che si vorrebbe di fatto risolvere.



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