Viviamo un momento difficile, l’attuale condizione umana attraversa un confine dove la mancata serenità, la certezza
per il futuro, minata da sempre nuovi eventi avversi, hanno finito per sballottolare
l’animo umano all’interno di una soglia di tristezza che attanaglia sempre di
più l’animo umano, ma che coincide anche con la scoperta di nuove molecole
farmacologiche attive per la cura della depressione. In un ambito tanto
ristretto, dove spesso è persino difficile discernere la malattia dal sintomo
passeggero in un soggetto, fondamentalmente sano, si rischia di scambiare la
vera depressione con la tristezza e la momentanea poca voglia di tirare avanti,
col risultato di ricorrere sempre più
sovente alle cure con gli psicofarmaci.
Il pericolo a questo punto è reale ed è
quello di bollare persone sane come affette, sia pure in modo reversibile, da
malattie mentali. Di tale avviso è anche un’autorità nel campo delle patologie mentali
quale di fatto è Allen Grances, professore emerito di psichiatria alla Duke
University USA).
Il risultato è che, in linea teorica, sono
aumentati a dismisura gli ammalati di malattie mentali quali la depressione e
di conseguenza anche l’uso e fin’anche l’abuso di farmaci e psicofarmaci sono
aumentati in maniera esponenziale, col rischio di trattare casi clinici
inesistenti e, al contrario, esporsi a tutta la sequela di effetti collaterali
che tali farmaci, se utilizzati in maniera incongrua, provocano. Nei numeri, un
siffatto comportamento, ha significato nella sola Europa un numero spaventoso
di malati di depressione, reali o “finti”, che ammontano a circa 60 milioni e
se guardiamo il nostro Paese scopriamo una realtà per certi versi anche più
sconcertante, con un aumento di casi che ci avvicina sempre di
più al modello statunitense dove in soli dieci anni il consumo di psicofarmaci
è aumentato del 300 per cento nel periodo che andava fra il 1987 e il 1997 e si
è triplicato dal 1997 al 2000.
Si tratta allora di fare delle vere e
proprie valutazioni e considerare se tale impennata dei consumi possa
ascriversi alla voglia di medicalizzare il tutto. Il singolo periodo di
tristezza che poco o nulla avrebbe a che fare con la depressione, trattato alla
stregua di un fatto depressivo importante, fino a giungere alla cura di un lutto
con i farmaci, anzicchè attendere di metabolizzare la sofferenza da perdita.
Con lo stesso sistema si potrebbe ritenere che una quindicina di giorni di
sofferenza psichica dopo un evento eccezionale e particolarmente triste debbano
essere trattati alla stregua di una malattia, così come, sporadici momenti
vissuti ed espressi dalla persona e manifestatisi con sintomi quali, perdita di
appetito, insonnia e tensione emotiva, debbano meritare una robusta dose di
farmaci antidepressivi alla stregua della malattia mentale nei confronti della
quale tali molecole andrebbero correttamente impiegate.
Una cosa è certa. L’abitudine di trattare
ogni sintomo con presidio farmacologico sta divenendo quasi la norma. Lo si
vede al nord, soprattutto in regioni quali la Liguria , il Trentino, lo
si vede al Centro Italia, in regioni come il Lazio, la Toscana , l’Emilia Romagna
e l’Umbria e al Sud in Puglia, Basilicata e Molise, tutte aree del Paese dove
il consumo di psicofarmaci si sta facendo importante al punto da superare
quelle altre regioni d’Italia dove da sempre si è fatto un uso, a volte persino
incongruo, di tali farmaci.
Segno di una Società che forse è essa
stessa malata di una malattia più subdola e sottile persino della stessa
depressione, quando reale. Una Società, insomma, che tratta il disagio come una malattia, che
adotta correttivi alle normali contrarietà
della vita con la medicalizzazione, tout court, di ogni sintomo. Per giungere a
ciò ci si affida a potenti farmaci e importa poco sapere che uno psicofarmaco
utilizzato male, rischia quasi sempre di rappresentare un problema superiore a
quello che si vorrebbe di fatto risolvere.
Nessun commento:
Posta un commento
Ti preghiamo di inserire sempre almeno il tuo nome di battesimo in ogni commento