Forse non si sa, ma su cento fratture ossee,
almeno 20 non guariscono più, con la conseguenza che il paziente finisce per
subire un vero e proprio handicap e una riduzione funzionale dell’osso
danneggiato. Fino adesso, di fronte a questa situazione non esisteva molto da
fare, fino a quando a soccorrere medici e pazienti non sono intervenute le
cellule staminali. La metodica utilizzata per risolvere in maniera definitiva
quasi tutte le fratture ossee si chiama politerapia, una tecnica che provvede a
sanare l’osso dai monconi ai quali, in sala operatoria, l’ortopedico inserisce
un vero e proprio cocktail di staminali cosiddette stromali, ovvero, prelevate
dal bacino dello stesso paziente e impiantate insieme ai tradizionali sistemi
utilizzati in ortopedia, ovvero, chiodi placche e quant’altro.
Il motivo per il quale almeno venti fratture su cento non
guariscono è dovuto a quello che si definisce pseudoartrosi, una condizione
clinica che si instaura quando i monconi non sono più in grado di produrre nuovo
tessuto osseo che vada a saldarsi riformando l’integrità dell’osso. Tale
condizione si instaura in un arco temporale abbastanza lungo, anche sei mesi e
comporta il riassorbimento patologico dell’osso. Fino adesso le tecniche
utilizzate per evitare la condizione di pseudoartrosi sono state costellate da
scarsi risultati, rischio di infezione per il paziente e dolorose sedute per lo
stesso che doveva ricorrere ad apparecchiature esterne per tentare di risolvere
il problema clinico. La soluzione, alla luce dei buoni risultati raggiunti, può
essere appunto la politerapia che già sta ottenendo consensi da parte di medici
e pazienti dopo utilizzo presso diversi centri ospedalieri italiani, primo fra
tutti, l’Istituto ortopedico Gaetano Pini di
Milano, dove in tre anni, i casi
trattati in Italia sono circa 500, di cui 250 al Pini, con successi che
arrivano fino al 90%.
«Da oltre 10 anni, con un ambulatorio dedicato alla cura dei fallimenti
della traumatologia e delle deformità post traumatiche degli arti,
collegato al reparto di Chirurgia ortopedica riparativa per le complicanze
dovute alla pseudoartrosi, ci siamo occupati dei casi più difficili mandati da
altri ospedali di tutto il Paese — spiega Giorgio Maria Calori, primario del
reparto e responsabile della Commissione rigenerazione tissutale della Società
italiana di ortopedia e traumatologia — tanto da poter produrre studi
pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche».
Parliamo di una tecnica sofisticata che consiste di
diverse fasi, la prima prevede l’attacco della pseudoartrosi quando
presentatasi e che ne prevede l’allontanamento mediante resezione dell’osso. La
fase successiva prevede il riempimento del vuoto venutosi a creare dopo aver
resecato l’osso con riempimento di materiali organici che mettano in
comunicazione i due monconi residui. All’interno di tale cavità si impiantano
le cellule staminali prelevate dal bacino del paziente che una volta inserite
producono nuovo tessuto osseo in
accrescimento. Di norma il paziente giunge a guarigione completa entro tre
mesi, anche se, per riprendere le normali attività ha ancora bisogno di circa
sei mesi. Agli esami successivi cui viene sottoposto il malato, la guarigione
completa dell’osso “riparato” si palesa entro un anno e mezzo dall’intervento.
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